VARESE Le radici del Varese non si vedono ma sono forti, e la forza del Varese è nelle radici. In quelle mani e in quelle urla di Castori e della curva intrecciate nella rete dello stadio a Vicenza. Aggràppati a noi, Fabrizio. Urla con noi, e ti porteremo nel cuore.
Se non è neve è fango, oppure sassi e polvere. È quel braccio di un tifoso che prende per il petto fradicio di pioggia l’allenatore e lo trascina a sé, giù verso l’anima di sofferenza e dolore, d’orsi e viandanti assetati, salite in bicicletta senza appoggiare i piedi e discese a occhi chiusi nella nebbia. Giù nell’anima di questa squadra.
Il Varese si è forgiato in situazioni estreme, e in situazioni estreme esce la sua forgia, la sua spada. In questo il Varese è Castori, e Castori è il Varese. Soprattutto quando urla in faccia a quel tifoso nella bufera di pioggia e vento: “Qui non si molla un c…”.
Il ferro è caldissimo, lucidato disperatamente da quella squadra tutta in area sull’ultimo angolo per il suo mister. Le ali si muovono, spuntano lentamente, giovedì si riaprono. Sono arrivate mattonate sulla faccia, abbiamo provato un primo scatto (Ebagua e il 3-3 fallito con il Sassuolo), siamo scattati un’altra volta (il rigore buttato a La Spezia) e un’altra ancora (l’1-0 ciccato da Giulio con il Novara e da Kone in Veneto). Prova e riprova, ci riusciremo.
Certi momenti si portano dentro (e dietro) l’anima del Varese. Come il 2-2 di Cittadella al 94′ che riunì Ebagua, Sannino, la curva. Come Terlizzi contro Maran dopo lo 0-3 del Bentegodi. Momenti-scintilla, liberatori, che ci uniscono in una nazionale. Momenti in cui non accettiamo di perdere, ritrovando quello che eravamo e che siamo. La molla è scattata: siamo una cosa sola che ora ci catapulta lontano.
Andrea Confalonieri
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