«Sì, Verdi era un genio Uomo aperto al mondo Vedeva oltre il tempo»

Un Verdi al fulmicotone quello di domenica 20 ottobre al Salone Estense, quando alle 21 scenderanno nell’arengo i Virtuosi del Teatro alla Scala, quindici solisti impegnati a rendere omaggio al genio nel bicentenario della nascita.

Miglior inizio la Stagione musicale comunale non potrebbe avere, perché la bravura dell’ensemble, che suona senza direttore, è indiscutibile e provata dal successo di recenti tournée, e il programma è di quelli da conservare con cura nei cassetti della memoria.

Una Sonata a quattro di Rossini per cominciare, poi la funambolica Fantasia da concerto per clarinetto e archi su motivi di “Traviata” e “Rigoletto” di Donato Lovreglio, l’Andante sostenuto per archi del contrabbassista e compositore Giovanni Bottesini e il gran finale con il Quartetto in mi minore di Verdi, trascritto per orchestra da camera da Andrea Pecolo.

Del concerto e dell’esser virtuoso parliamo con Fabrizio Meloni, tra i migliori clarinettisti del mondo, prima parte solista dell’Orchestra del Teatro alla Scala e della Filarmonica della Scala dal 1984, collaboratore di solisti di fama internazionale e direttore d’orchestra.

Fu un precursore, un uomo che vide oltre il suo tempo. Aperto al mondo, come testimoniano per esempio il contratto faraonico per “Aida”, scritta per l’inaugurazione del Canale di Suez o le molte rappresentazioni delle sue opere in tutta Europa, lui vivo. Poi lo stretto legame che ebbe con il librettista Francesco Maria Piave, un po’ come quello di Mozart con Da Ponte. Un gigante, tant’è che Stravinsky soleva ripetere che c’è più musica nella “Donna è mobile” che nell’intera Tetralogia wagneriana. Teniamo presente che quando scrisse “Falstaff”, opera di dottrina, aveva sul comodino i Quartetti di Beethoven e Mozart.

Divertendosi, con un approccio funambolico come richiedono pezzi virtuosistici quali sono le parafrasi sui temi delle opere famose. Questo brano lo eseguì allora il “Paganini dei clarinettisti”, Ernesto Cavallini, per cui Verdi scrisse l’assolo del terzo atto ne “La forza del destino”, e con uno strumento più “rozzo” dei nostri, con meno chiavi. Anche il Quartetto di Verdi, che suoneremo nella versione per orchestra da camera, è già di per sé di una difficoltà notevolissima, con la parte del primo violino qui moltiplicata per sei “primi violini”.

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