Maroso: «In cielo si tifa il Varese Castori sotto la corazza è tenero» 

Lo confesso: la nebbia, l’altra volta, l’ho mandata io dalla quiete del cimitero di Velate, dove riposo guardando un po’ il Sacro Monte e un po’ lo stadio. Più che uno scherzo da Peo, credetemi, era un monito da Peo: vi vedevo troppo gasati, e mi sono preoccupato. Il messaggio, per chi l’ha capito, era: ehi, piano, non montatevi la testa, questi tre punti dovrete sudarveli il doppio, anche con tre gol di vantaggio. È la legge del calcio e della vita, a me non è mai piaciuto vincere facile. Volavate troppo alto: il cumenda Borghi diceva sempre che Icaro era un pirla.

Mi lascia tranquillo che Rosati e Castori l’abbiano capito. Mio figlio Virgilio, l’ultima volta che m’è venuto a trovare, m’ha detto che Antonio si sente ancora a quota 29: bravo, così si fa. E lo stesso ho letto di Fabrizio: nel mister rivedo la mia grinta come indispensabile corazza della dolcezza, perché chi è duro anche dentro alla lunga non ti dà niente.

Sento discutere delle tre partite sotto le feste e mi viene da sorridere. Noi giocavamo sempre, con qualunque tempo e su qualunque campo, non c’erano i giardinieri favolosi di oggi e neanche le scarpe da ghiaccio e i palloni aerodinamici. Giocavamo e basta, anche a Capodanno, e per noi difensori era ancora più dura: nella zona delle aree di rigore spargevano chili di segatura, quando entravi in scivolata vedevi tutte le stelle dell’emisfero australe. E non crediate che le maglie di lana ci proteggessero meglio dei tessuti tecnologici di adesso.

Alla squadra che va a Crotone dico: non guardate né il censo né la classifica, e se giocate come col Grosseto prometto che stavolta non vi interrompo. Anche perché soffiare fin laggiù è faticoso. Ai tifosi che vanno a Crotone dico: siete eroici e se in casa andate in curva sono doppiamente orgoglioso che sia la mia curva.

A Montemurro e Milanese dico: giusto chiedere sei punti, ma se ne arrivano cinque fate lo stesso il mercato. Su Pucino, Fiamozzi, Lazaar e soprattutto Nadarevic avevo visto giusto: adesso quello Scapuzzi m’intriga, pigliate i giovani e non sbaglierete.

Ma soprattutto voglio dire due cose a Oduamadi. La prima: so quanto hai sofferto, ma tu sei stato fuori sei mesi, io quattro anni, a te è andata meglio. La seconda: quando rientrerai non farti schiacciare dall’attesa, sii te stesso, come feci io quando mi paragonarono a quel fenomeno di mio fratello. Tu, mi dicono, sei bravissimo: allora vai tranquillo e vedrai che ti riprenderai tutto. E sentirai che io tifo anche per te.

Peo Maroso

a.confalonieri

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