In tutto questo tripudio di bellezza, viene fuori il nostro essere incontentabili. Perché sì, è vero: per quel che ci riguarda la vittoria di Nibali al Tour equivale al trionfo dell’Italia ai mondiali tedeschi del 2006. Stessa roba, stesso orgoglio, stessa italianità. Perché sì, è vero: a noi quello scricciolo venuto su dalla Sicilia ci è piaciuto fin dal primo giorno. Fin da quando il nostro amico Basso
ce lo presentò – erano compagni di squadra e di stanza alla Liquigas – dicendoci: «Io provo a vincere il Tour, ma se non ci riesco lo vincerà lui tra qualche anno». Perché sì, è vero: l’inno di Mameli suonato ai Campi Elisi sopra un podio con uno dei nostri a guardare i francesi dall’alto in basso (a proposito: tiè) ci ha regalato attimi di godimento patriottico.
E allora? Eh: e allora c’è che a noi manca un’immagine. Manca una foto, anzi: manca la foto. Quale? Dai è facile: bisogna fare un salto indietro. 1998: ed eravamo tutti ragazzini esausti dopo tre settimane passate a saltare sul divano ad ogni scatto di Pantani, a spingere il Pirata su per le rampe del Galibier, a tifare come bestie. Quel giorno a Parigi l’avevamo vissuto come una liberazione, come un momento che tutti ci eravamo meritati, la chiusura di un cerchio. E là su quel palco, una foto anzi: la foto. Felice Gimondi che alza il braccio a Marco Pantani: ve la ricordate, vero, quella foto? Era un’immagine che significava un passaggio di consegne: Gimondi trionfatore al Tour del 1965 che incoronava il suo successore. Un altro italiano sul tetto del mondo, trentatre anni dopo.
Sì: ci voleva lui ieri. Ci voleva Pantani ad alzare il braccio di Nibali, il suo successore, un altro italiano sul tetto del mondo, sedici anni dopo. E in tutto questo tempo buio in cui il Pirata ci è mancato di brutto, ieri è stato uno dei giorni in cui ci è mancato di più.
È stato bello rendersi conto che non eravamo soli, però: che in tanti hanno sentito la stessa mancanza e la stessa nostalgia, che in tanti hanno pensato a Pantani perché a lui un corridore come Nibali sarebbe piaciuto. Sì: diversi in tutto, diversi sul podio. Uno sprezzante e capace di guardare in faccia il mondo, pizzetto colorato di giallo e finta sicurezza. un altro timido e impacciato, piccolino, con quel discorso scritto su un foglietto e recitato con la voce tremante di chi preferisce stare in bici che in mezzo alla gente. Diversi in tutto, uguali nella vittoria e uguali nel colore: giallo.
E uguali anche nell’uomo che li ha portati fin lì, e del quale in pochi ieri hanno parlato. Beppe Martinelli, sull’ammiraglia dell’Astana come sedici anni fa su quella della Mercatone Uno. Beppe, che ieri ha evitato le telecamere perché non voleva mostrare al mondo i suoi occhi lucidi, nei quali si mescolavano le lacrime di gioia e quelle di tristezza.
Sì: siamo incontentabili. Ma non per questo siamo immuni alla bellezza. La storia di Nibali è una delle più belle che lo sport abbia mai raccontato: e quando ascoltiamo storie così ci si gonfia il cuore. Perché pensate pure quello che volete, ma noi uno sport più romantico del ciclismo davvero non lo conosciamo.
Francesco Caielli
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