Parolo ha in testa il Brasile «Vi porterei tanti palloni»

, il ragazzo di Arnate che sogna i Mondiali.

«Ci porti tutti in Brasile?» gli chiedono i bambini delle scuole calcio di Gallarate che lo hanno riempito di applausi ed entusiasmo nel corso della sua “ospitata” alla serata dedicata agli sportivi.

«Il mio segreto? Ho sempre giocato per divertirmi». Sul suo futuro, Marco Parolo non si sbottona: «In Brasile? Se mai dovessi andarci, vi prometto di portarvi un sacco di palloni autografati dai giocatori della nazionale. Prandelli è un grande, parla poco ma trasmette principi importanti e sa mantenere il gruppo. Io in una “grande”? La mia maglia oggi è biancocrociata e sono contento così».

Protagonista la sera precedente a San Siro con il gol decisivo segnato all’Inter, il centrocampista del Parma, nato a Gallarate e cresciuto sui campi dell’oratorio di Arnate e nelle fila della fucina gallaratese di talenti del Torino Club, si è confessato rispondendo alle domande del delegato allo sport .

«Ricordo ancora la mia prima partita, in cui mi ero messo a piangere per i tanti rimproveri ricevuti dal mister – svela il campione di Gallarate – il consiglio ai ragazzi che vogliono seguire le mie orme è di mantenere lo spirito di quando si gioca nei campetti dell’oratorio. La voglia di divertirsi, che avevo da bambino quando correvo dietro al pallone di spugna in casa rompendo ogni tanto qualcosa, è la molla giusta. Ho visto tanti ragazzi come me che quando sono stati presi nei club giovanili più importanti pensavano di essere già in serie A e si sono persi. Io quando sono teso prima di una partita, penso sempre di dover scendere in campo per una partita tra amici».

In fondo, Marco è ancora il ragazzo di Arnate che passava le giornate all’oratorio a giocare al pallone finché non lo portavano via: «L’oratorio è una palestra di vita, insegna a stare in gruppo e a giocare con tutti, bravi e scarsi – afferma – è sempre stato il mio posto preferito per giocare a calcio, alla faccia di chi pensava che fosse da sfigati».

Ora che è sull’Olimpo non dimentica la sua città: «Devo ringraziare innanzitutto i miei genitori che mi hanno trasmesso i valori e la voglia di sacrificarsi senza mai mollare – le parole del campione – mantenersi ad alti livelli non è facile».

Spiega ancora: «Dopo il primo anno in A, nel secondo non mi sono espresso al meglio. Sentivo la pressione e solo tenendo i piedi ben saldi per terra sono riuscito a reagire. Mi aiuta anche il fatto di essere rimasto sempre me stesso, continuo a rimanere in contatto con gli amici di sempre e, confrontandomi con i sacrifici che fanno nello studio e nel lavoro, io che mi sento fortunato ho avuto la spinta e le motivazioni per riprendermi e dare il massimo».

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