Calcio e Italia i due mondi del non sense

Dice il presidente del Cagliari Cellino: «Lo strapotere delle pay-tv rischia di soffocare la gallina dalle uova d’oro». Con lo spezzatino sempre più assurdo degli orari delle gare di serie A, gli stadi si spopolano e lo scenario diventa sempre più desolante. Finalmente un dirigente ha capito il pericolo imminente per tutto il movimento. Ci vuole più rispetto per noi “tifosi da stadio”, vera anima del calcio altrimenti

i dirigenti delle società calcistiche e i dirigenti delle pay-tv dovranno recarsi casa per casa e convincerci a ritornare a ripopolare gli spalti come 20/30 anni fa quando erano spalti anche senza seggiolini con schienale e le uniche bevande o cibi che si consumavano erano il caffè Borghetti, la Coca Cola in lattina, un cornetto gelato sempre costantemente sciolto anche a gennaio e i panini raffermi con affettati rancidi.

Massimo Puricelli
Legnano

Sarebbe bello conservare il romanticismo sempre e per tutto. Ma non si può. In alcuni casi (nella maggior parte dei casi) non si deve. Conservare il ricordo del passato, usarne il meglio, pensare al futuro attrezzandosi nel presente. Il calcio italiano non è in crisi per lo spezzatino televisivo, basta guardare fuori dei confini nazionali per averne conferma: la Premier League inglese, che l’ha introdotto, va a mille. Con gratificazione di chi gioca e di chi assiste.
Il calcio italiano è in crisi perché inadeguato alla modernità. Dirigenti spesso mediocri, vivai trascurati e senza possibilità di valorizzare i talenti, stadi vecchi scomodi e pericolosi, federazione ingessata nei suoi imparruccati equilibri di potere. Sono questi i pericoli per il movimento. Pericoli noti e sperimentati. Ma che non si fa nulla per rimuovere. D’altra parte in un Paese in cui le riforme sono ignote, si può pensare a una riforma del calcio? L’unico club che ha eccepito alla regola – la Juve che s’è dotata d’uno stadio di proprietà – passa per rivoluzionario. Ed è invece un club conservatore. Del buonsenso.

Max Lodi

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