Parla ai no global, alle decine e decine di organizzazioni popolari di tutto il mondo che ogni anno si riuniscono nel Social Forum, la risposta dei movimenti di base ai banchieri e agli imprenditori globali che vanno a Davos in Svizzera. Bergoglio li ha invitati in Vaticano per tre giorni perché vivono sulla loro pelle «la disuguaglianza e l’esclusione». Ieri mattina in un lungo discorso a braccio in spagnolo ha detto che questo incontro «è un grande segno». Si tratta di una novità assoluta perché c’erano i centri sociali, tra cui quello storico milanese del Leoncavallo, la rete italiana «Genuino clandestino», un network che raccoglie agricoltori biologici, ma anche No-Tav e «no-Expo», gli Indignados spagnoli, la rete mondiale di Via Campesina, le associazioni contro il «land grabbing», cioè la coltura intensiva delle terre soprattutto per produrre biocarburanti, i cartoneros argentini.A condurre l’incontro il Vaticano ha chiamato Juan Grabois, avvocato argentino dei cartoneros. Bergoglio quando era arcivescovo di Buones Aires aveva costituito un’apposita vicaria per la collaborazione tra la diocesi e i movimenti popolari e oggi diventato Papa sta facendo la stessa cosa a livello mondiale. Sono tre le questioni sul tavolo e cioè terra, casa e lavoro. Il Papa ha spiegato che i poveri «non si accontentano di promesse illusorie, scuse o alibi» e non stanno «neppure aspettando a braccia conserte l’aiuto di Ong, piani assistenziali o soluzioni che non arrivano mai, o che, se arrivano, lo fanno in modo tale da andare nella direzione o di anestetizzare o di addomesticare», modo di procedere «piuttosto pericoloso». Invece i poveri si organizzano: «Studiano, lavorano, esigono e soprattutto praticano la solidarietà».Il Papa ha ripetuto che «solidarietà» è una parola dimenticata, che non piace, «cattiva parola». Invece essa significa «pensare e agire in termini di comunità, di priorità della vita di tutti sull’appropriazione dei beni da parte di alcuni» e «lottare contro le cause strutturali della povertà, la disuguaglianza, la mancanza di lavoro, la terra e la casa,
la negazione dei diritti sociali e lavorativi». La linea del Papa è chiara: «Far fronte agli effetti distruttori dell’impero del denaro, ai dislocamenti forzati, le emigrazioni dolorose, la tratta di persone, la droga, la guerra, la violenza». E poi ascoltare la voce dei movimenti popolari che «si ascolta poco», perché il loro grido «disturba» e «infastidisce».Bergoglio denuncia: «Non si può affrontare lo scandalo della povertà promuovendo strategie di contenimento che unicamente tranquillizzano e trasformano i poveri in esseri addomesticati e inoffensivi». Critica chi nasconde dietro alla solidarietà con i poveri «ambizioni personali e affari» e riflette: «È strano, ma se parlo di questo per alcuni il Papa è comunista. Non si comprende che l’amore per i poveri è al centro del Vangelo. Terra, casa e lavoro sono diritti sacri». Lo preoccupano l’accaparramento delle terre, l’appropriazione dell’acqua, l’uso dei pesticidi. Denuncia la fame, provocata anche dalla «speculazioni finanziaria» sui prodotti alimentari, lo «scandalo» del cibo scartato: «La fame è criminale, l’alimentazione è un diritto inalienabile». Chiede «una casa per ogni famiglia» e ironizza sul fatto che oggi chiamiamo chi non ha casa «persone senza fissa dimora»: «È curioso come nel mondo delle ingiustizie abbondino gli eufemismi». E precisa: «In generale dietro un eufemismo c’è un delitto».Critica gli «sgomberi forzati», le demolizioni delle baracche «immagini tanto simili a quelle della guerra» e spiega che la linea da seguire è quella dell’«integrazione urbana», ma senza «riverniciare i quartieri poveri, abbellire le periferie e truccare le ferite sociali». Poi il lavoro e la disoccupazione, risultato di un sistema economico che «mette i benefici al di sopra dell’uomo» e al centro «il denaro».Sottolinea che «ogni lavoratore ha diritto a una remunerazione degna, alla sicurezza sociale e a una copertura pensionistica». Chiede di mettere insieme globale e locale, insiste sul fatto che «il creato» non è «una proprietà di cui possiamo disporre a piacere», né una «proprietà di pochi». Alla fine conferma che su tutto questo sta scrivendo un’enciclica.