«Il mio amore per Marco Pantani come quello di papà per Fausto Coppi»

Davide Dezan a cuore aperto racconta il suo Pirata e parla del suo libro che verrà presentato a Varese. «Ucciso due volte, ma la verità sta venendo a galla. Pensare a lui fa ancora venire le lacrime agli occhi»

Pantani è tornato. Lo dice Davide Dezan. Anzi, lo scrive Davide Dezan. Pantani non se ne è mai andato. Chiedetelo ad un suo tifoso, chiedetelo a quei folli che lo attendono sotto la neve al tornante Pantani. Di rosa e giallo vestiti. Con quell’insaziabile voglia di veder spuntare una bandana dal tornante. Quella voglia e quella rabbia che riempie anche Davide Dezan. Lui che ha ereditato l’amore per il ciclismo dal padre Adriano, che cantava le gesta del Pirata. Non c’è niente da fare, quando la strada si rizza sotto i pedali, Pantani è il più forte. Davide ha scritto un libro che presenterà il 5 febbraio allo Spazio Lavit di Varese. Un libro sul Pirata, investigativo. Ce lo racconta.

È stato un anno difficile ed appassionante. Mai come negli ultimi tempi sono emersi con tale forza così tanti elementi cruciali sulla vita e sulla morte di Marco. L’idea di scrivere un libro parte dallo speciale che avevo preparato con mamma Tonina e l’avvocato De Rensis e che è andato in onda il 14 febbraio del 2014, il giorno del decimo anniversario della sua morte. Quella trasmissione credo abbia smosso molte coscienze, tanto che grazie anche al grandissimo lavoro del legale De Rensis, si è arrivati alla riapertura di ben due casi giudiziari, non uno solo. Le due morti di Marco Pantani.

Esattamente. I luoghi del crimine sono due, Marco Pantani è stato ucciso due volte. La prima morte è stata quella sportiva, il 5 giugno del 1999 a Madonna di Campiglio. La seconda morte, come tutti sappiamo, il 14 febbraio 2004 a Rimini. Nel libro ho voluto ridisegnare con attenzione lo scenario di entrambi i luoghi del crimine, avvalendomi di testimonianze importanti come

quelle del massaggiatore e del medico di Pantani. Due voci molto credibili. In più, nello speciale è intervenuto anche il dottor Locatelli, che ci ha mostrato in maniera limpida, attraverso un sistema chiamato deplasmazione, come il controllo effettuato a Madonna di Campiglio fu assolutamente irregolare. Anche perché lo stesso giorno, poche ore dopo, i valori di ematocrito di Pantani erano nella norma.

Parto dal presupposto che Marco era un mio grande amico. Quindi ho scritto partendo da un sentimento di amicizia, di stima e di enorme affetto. Un sentimento seguito a ruota però da una professionalità giornalistica, fatta di analisi e di investigazione. E quando un’inchiesta giornalistica sfocia in un’inchiesta giudiziaria, significa che è stato fatto un buon lavoro. Devo ringraziare l’avvocato De Rensis, perché ha lavorato in grande sinergia con me. Veicolando informazioni e documenti, intrecciando testimonianze e dati. Come ben sappiamo, è passato poco tempo ed il caso è stato riaperto.

Un uomo buono, generoso, straordinario. Un amico. Chi, come me, dopo tanti anni si ritrova ancora a pensare a lui, ha le lacrime agli occhi. Perché questo era Marco. Era emozione, cuore, ti dava tanto sia quando lo vedevi pedalare sia quando ci parlavi, quando ci stavi assieme. E sapete qual è la sua forza?

Che non è solo un ricordo. È ancora vivo in tutti quei ragazzini che non lo hanno mai conosciuto, che non lo hanno mai visto correre e che dopo l’uscita del libro mi tempestano di mail, di messaggi, di lettere. Dei giovani che hanno riscoperto Pantani. Ed è un fatto stupendo, commovente. Noi siamo stati fortunati ad averlo vissuto, ad aver visto e condiviso i suoi capolavori. Ha riempito le strade d’Italia e del mondo di pubblico adorante, gente che accorreva solo per lui. Non succede più, non succederà più.

Sì, il mondo del ciclismo però non fu pronto ad accogliere il fenomeno Pantani. L’Italia amava Pantani e tutto il mondo ce lo invidiava. Il mio amore per l’uomo ed il ciclista Pantani mi ricorda esattamente quello che ebbe mio padre nei confronti di Fausto Coppi.

Mio padre ogni volta che mi parlava di Coppi si emozionava. Non riuscivo a capire il motivo. Però lo capisco adesso, perché la stessa cosa che accadeva a lui con Coppi capitava e capita a me con Pantani. Fausto e Marco sono due corridori simili. Due carriere piene di peripezie, incidenti, cadute. Ed una morte tragica per entrambi. L’amarezza che noi proviamo ogni 14 febbraio è la stessa sensazione che provavano i nostalgici di Coppi ogni 2 gennaio. La grandezza di Pantani era di riportarci le emozioni e le suggestioni di Fausto Coppi. Fausto era un corridore moderno in un ciclismo antico, Pantani in epoca moderna ci riportava emozioni antiche, di un ciclismo proprio alla Coppi.

No, impossibile. Io spero che ne arrivino altri come il Pirata. Però credo che uomini come Pantani e Coppi siano unici nel panorama sportivo.