Charlie Yelverton, musica maestro “La Cimberio suona come un sax”

VARESE Il nome di Charlie Yelverton resta nell’aria come un assolo di sax: passano gli anni, ma è talmente bello che non se ne vuole andare. Lui è uno dei più grandi talenti che abbiano mai calcato i parquet di casa nostra, interprete strepitoso di una pallacanestro vissuta senza fiato, genio e follia, coerenza e testa alta in tutti i gesti che hanno caratterizzato la sua vita.

Seduto all’inno Usa
Campione d’Europa e d’Italia con la maglia di Varese, virtuoso del basket e anima libera. Nel 1973, da stella della Nba, decise di restare seduto durante l’esecuzione dell’inno americano per protesta contro la guerra in Vietnam firmando così la sua condanna a peregrinare in giro per l’Europa perché gli Usa non lo vollero più. Una fortuna per Varese, che grazie al fenomeno di New York vinse una Coppa dei Campioni (1975) e uno scudetto (1978). «Nel 1975 – racconta oggi – venni chiamato da Sandro Gamba per giocare come straniero di coppa: vincemmo il trofeo senza perdere una partita, e mi domando perché quando si parla delle squadre più forti di sempre si cita la Milano di D’Antoni e non quella Ignis».

Taxista a New York per sbarcare il lunario, campione, sassofonista. La sua città natale non l’ha dimenticato e giusto in mese fa lo ha chiamato per premiarlo, inserendolo nella Hall of fame dei più grandi giocatori della storia di New York. «È stata una bella soddisfazione, e quando

sono arrivato la prima cosa che mi hanno detto è stata: “Ma come mai non avevamo ancora pensato a te?”. Hanno inserito il mio nome in una lista dove c’erano i più grandi di sempre, gente che nella Nba ha giocato a lungo e ha pure vinto: bello».

«Il mio basket»
Oggi Charlie vive a Ispra e tifa Varese. «Vedo le partite in tv e mi diverto, e credo che questo sia il segreto della Cimberio: divertono e si divertono, giocando il basket che piace a me. Quale? Penetra e scarica, tiro da fuori, corsa». Il filo sottile che continua a legare Yelveron a Varese porta fino all’attualità più stretta: Bryant Dunston, il miglior centro del campionato, è un prodotto di Fordham: l’università del Bronx dove Yelverton è diventato grandissimo. «Quando Isaac me l’ha detto ho pensato che il mondo è veramente piccolissimo. Ho letto che lui mi conosceva perché aveva letto il mio nome sul muro del College dove ci sono tutti i più grandi. Ho visto giocare questo ragazzo, e non capisco per quale motivo non sia riuscito a trovare spazio nella Nba: forse è un po’ bassino, ma ha due braccia lunghissime e una grande mobilità: mi piace, mi piace».

«Arriverà in fondo»
Charlie e il suo sax, con il quale allietava lo spogliatoio ai tempi della Mobilgirgi e che ancora oggi lo accompagna nei locali della provincia o in giro per l’Italia: come quando Yelverton è andato a suonare tra i terremotati dell’Aquila.
Per lui il basket è sempre stato come musica: «Armonia: questo deve avere uno spartito e questo deve avere una squadra. Ho visto la Cimberio e mi sembra che l’armonia non manchi, perché quando una squadra vince così tante partite in trasferta significa che lo spogliatoio è forte e solido».
E allora che parli il cuore del tifoso, che risponda alla domanda che tutti quanti si stanno facendo: ma quanto durerà questo sogno meraviglioso? «Io sono convinto che questa squadra possa arrivare fino in fondo, perché è partita forte e non ha nessuna intenzione di fermarsi. Ne sono convinto, e lo spero».
E poi, l’augurio di Yelverton che va controcorrente: del resto, da uno come lui bisogna aspettarselo. «Auguro a Vitucci di perdere una partita quanto prima, perché spesso le sconfitte servono più di una vittoria».

Francesco Caielli

a.confalonieri

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