«Il giorno 13 gennaio ho partorito all’ospedale del Ponte e quel giorno stesso ho scoperto che il reparto di ostetricia, dove avevo felicemente partorito la mia prima figlia, non era più quell’ambiente accogliente e attento che avevo trovato due anni prima».
Con queste parole, giornalista e scrittrice varesina, racconta l’esperienza vissuta all’ospedale materno-infantile di Varese. La sua storia riportata anche sul blog, ha fatto il giro del social network. Il suo articolo ha superato i duemila contatti, e il suo racconto è stato riportato anche su riviste di respiro nazionale come Donna Moderna, Gioia e Vanity Fair.
La blogger, circa un mese fa, ha partorito il suo secondo figlio. Reduce del forte dolore provato durante il primo parto, avvenuto in modo naturale, e considerate le dimensioni del secondo genito, Valentina aveva deciso di affidarsi all’epidurale.
«Il bambino era molto grosso – racconta – Avevo valutato anche la possibilità di fare un cesareo, ma la mia ginecologa me lo ha sconsigliato nel caso in cui il bimbo non avesse superato i quattro chilogrammi». Ma il travaglio di Valentina ha avuto inizio con cinque giorni di anticipo rispetto al termine previsto e suo figlio aveva già raggiunto i 4 chili e 330 grammi. Giunta in ospedale, la donna era già dilatata di cinque centimetri ed è stata subito trasportata in sala parto.
«Oltre a me quel giorno c’era solo un’altra partoriente. Mi hanno messo in sala parto e sono rimasta senza che nessuno venisse ad assistermi per circa un’ora». Poi, un’infermiera è entrata nella stanza e Valentina le ha chiesto quando le avrebbero fatto l’epidurale. Ma prima che l’anestesista possa effettuare l’epidurale è necessaria la visita da parte di un’ostetrica. «L’ostetrica è arrivata, ma mi ha chiesto solo alcuni dati per compilare la documentazione necessaria. Le ho chiesto di poter avere l’epidurale e lei mi ha risposto che prima doveva visitarmi. Poi, è uscita dalla stanza e per un sacco di tempo non l’ho più vista».
Intanto, le contrazioni aumentavano. «Quando l’ostetrica è ritornata e mi ha visitata ero già dilatata di otto centimetri e mi ha detto che non era più possibile fare l’epidurale perché in meno di un’ora avrei partorito».
Dopo due ore, però, il bimbo di Valentina non era ancora nato. «Quel giorno ho scoperto che a Varese l’epidurale è un tuo diritto fino a che non la chiedi, nonostante le parole rassicuranti degli anestesisti negli incontri preparto».
Il bambino non voleva nascere. «Ho chiesto di essere sedata e di partorire tramite cesareo. In tutte quelle ore mi sono sentita più volte dire che stavo esagerando, che era vergognoso come mi stavo comportando e che non dovevo fare i capricci. Che fine aveva fatto tutta quella umanità che avevo trovato durante il mio primo parto?».
Alla fine, la donna viene portata in sala parto. «Sul referto medico hanno poi scritto “cesareo per mancato impegno”, ovvero perché il bambino non sarebbe mai nato in modo naturale: avevo ragione io». Così, Valentina sta valutando di procedere legalmente contro l’ospedale.
Dalla direzione sanitaria del presidio annunciano che stanno attendendo le relazioni da parte del personale medico-infermieristico presente in quell’occasione. Fatta una valutazione, i clinici scriveranno alla diretta interessata in via privata.
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