Quanto amore e quanto struggimento c’è nella “Nona” sinfonia in re maggiore di Gustav Mahler. Quello di cui parlò Alban Berg: «L’amore inaudito per questa terra, il desiderio di vivere in pace su di essa, di godere della natura fino nelle sue più “profonde profondità”, prima che venga la morte».
Affresco immenso di equilibro e perfezione che l’ensemble da camera Giorgio Bernasconi dell’Accademia Teatro alla Scala di Milano presenterà domani alle 20.30 al Salone Estense (ingresso a 20 euro), nella trascrizione realizzata nel 2011 da Klaus Simon per la Universal Edition Wien.
«Una versione ridotta – sottolinea Marco Angius, direttore della formazione – inserita in un progetto più ampio promosso dalla casa editrice viennese e che interessa anche altre sinfonie dell’autore austriaco».
In sintesi, «una grande sfida» insolita e solleticante. Perché la vastità della scrittura mahleriana, qui, si confronta con la «scrittura sinfonica miniaturizzata, così come accadeva all’epoca di Arnold Schoenberg e di Mahler», prosegue il direttore. Insomma, nulla di così estraneo anche alla nostra epoca, dove la diffusione della musica – in corrispondenza agli investimenti economici sempre più ridotti – non sempre si fa sostenibile.
In nostro aiuto arriva questo progetto fortunato che, dopo i successi della “Prima” e della “Quarta” di Mahler vede nuovamente impegnato Simon, un musicista attento agli equilibri e che pone mano all’orchestrazione senza stravolgere i colori e lo spirito dell’opera.
Insomma, Mahler sembra non ne soffra e nella versione di Klaus (pianista e compositore espertissimo) si prosegue una tradizione lontana che da Schoenberg (fu lui ad iniziare una riduzione del “Das Lied von der Erde”) porta a Kenneth Slowick (violoncellista americana) ed Erwin Stein, anche loro “trascrittori” di prestigio. Obiettivo, sacrosanto, del lavoro è quello di sostenere un percorso «di tipo didattico – sottolinea Angius – per avvicinare i giovani musicisti ad un repertorio che si affronta raramente, proprio per la vastità dell’organico e delle occasioni di programmazione, ma che riveste un ruolo musicale determinante».
Non è un caso, infatti, che l’ensemble di domani porti il nome di Giorgio Bernasconi, «musicista sensibile, fine didatta nonché intelligente e profondo conoscitore del Novecento musicale. La sua dedizione ai giovani musicisti era assoluta, e si diceva preoccupato per la scarsa attenzione dei Conservatori verso la musica contemporanea».
Il cerchio si chiude perfettamente così come l’aveva aperto Mahler, tra il 1909 e il 1910, quando compose questa “Nona” nella quale «l’autore non sembra più parlare in quanto individuo». Non si spiegherebbe altrimenti quell’Adagio conclusivo straziante, complesso, quasi indecifrabile.
Schoenberg lo dice con la lucidità che lo contraddistingue: «Si direbbe che quest’opera sia di un autore ignoto che si serve di Mahler come se fosse il suo portavoce o il suo interprete. Questa sinfonia è fatta di una obiettiva, purificata bellezza, comprensibile soltanto a chi sa rinunciare al calore animale e sta bene nella freschezza dello spirito». Ed è qui che ci vuole portare Marco Angius.













