Generazione Ask.fm a Varese A scuola e tra gli adulti è allarme

Domande stupide, il più delle volte con più o meno espliciti riferimenti sessuali. Risposte altrettanto chiare, spesso volgari o scurrili.

È più o meno questo il quadro che emerge dei giovanissimi frequentatori di Ask.fm, il social che in queste ore è nell’occhio del ciclone perché – il suo distorto utilizzo – avrebbe portato al suicidio di un’adolescente di Padova e ancora prima, nell’agosto dello scorso anno, di Hannah Smith, quattordicenne del Leicestershire.

Tanto per iniziare, è bene spiegare cosa sia Ask.fm: si tratta di un social di interazione “domanda-risposta”, lanciato nel 2010 da una società della Lettonia. Lo scopo è quello di scrivere domande sul profilo di altri membri. Il servizio è basato principalmente sull’anonimato: è possibile scrivere domande in forma anonima sulla bacheca degli altri utenti e seguire i propri amici senza che loro lo sappiano. Per rispondere alle domande è però necessario registrarsi al sito e basta avere almeno 13 anni per farlo. Oggi Ask.fm conta 60 milioni di utenti: 13 milioni lo frequentano quotidianamente «Ho visto l’inenarrabile su quel social network», commenta , preside della scuola media Vidoletti, dopo aver creato un account su Ask e aver sbirciato tra i profili e i gruppi degli utenti varesini.

Giovani, anzi giovanissimi, che si cambiano foto in pose e abiti da adulti, che parlano di cose che a quell’età stupisce possano conoscere e «si insultano in continuazione usando parolacce o bestemmie. Sono scioccato». Reazione comprensibile data la tenera età degli internauti, che hanno tra i 13 e i 15 anni. Alunni delle scuole medie della provincia che, a giudicare dalla frequenza dei post e della durata dell’attività sul profilo, passano online molte ore al giorno.

Momenti in cui la socializzazione diretta viene meno e la vita si trasferisce in un mondo virtuale, dove tutto è possibile, tutto si può dire e fare senza conseguenze. Almeno apparentemente. «Perché i ragazzi a quell’età non hanno davvero consapevolezza, sono in una fase delicata della crescita in cui non percepiscono il senso del limite – prosegue Antonellis – Mettendo loro in mano strumenti “da guerra” come possono essere i moderni smartphone o i tablet, non ci si può stupire che sia questo il risultato».

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