«Il mio Giro da gregario con Alberto, il campione ragazzino»

Ivan Basso a ruota libera dopo la corsa che lo ha visto scudiero e compagno dello spagnolo Contador: «Abbiamo vinto ma non mi sono piaciuto. Aru è il futuro. Il momento del mio ritiro? Lo saprete presto»

Al di là dei due che ha vinto, ci mancherebbe. Ma quello che si è appena concluso è il Giro d’Italia più bello, tra quelli corsi da Ivan Basso. L’abbiamo sparata grossa? A leggere in giro i commenti di chi se ne intende, di chi tutto sa e tutto capisce, parrebbe proprio di sì. Dita puntate contro il campione inventatosi gregario, critiche (più o meno velate, più o meno educate) di

chi è abituato a limitarsi all’apparenza. Accuse e teste scrollate di fronte a una gamba che non gira più come una volta e ci mancherebbe altro. Pagelle durissime e giudizi trancianti: Ivan, brutto vederti così, è arrivato il momento di dire basta.Chi la pensa così, però, si è perso una delle più belle storie tra quelle raccontate dal ciclismo in questi anni. E allora, a raccontare questa storia ci proviamo noi.

Le giornate che dedico alla mia famiglia, totalmente. Il ciclismo ti costringe a rinunciare alla quotidianità, ma poi ti regala questi momenti in cui l’abbraccio dei tuoi cari è totale. Quando tornavo con la maglia rosa era un abbraccio che ti riportava sulla terra, l’abbraccio di questi giorni ha il potere di alleggerire.

Da un Giro che avrei voluto diverso, da un Basso dal quale avrei voluto di più. Sono sempre stato molto esigente, lo sapete: e non mi sono piaciuto.

Eravamo al Giro per aiutare Contador a vincere, invece siamo stati in grado soltanto di aiutarlo a non perdere. Non siamo stati con lui nei momenti decisivi, quando c’era da prendere la maglia rosa. Ci siamo stati solo quando bisognava difenderla.

L’ha vinto un grande campione come Contador. Ma nello scontro tra le due grandi squadre, Tinkoff contro Astana, hanno vinto loro.

In un grande giro ci sono tanti momenti in cui hai paura di perdere tutto. Quello è stato uno di quei momenti.

Nella mia carriera mi sono trovato spesso nella situazione in cui si è trovato lui: con la paura che il tuo corpo da un momento all’altro ti dica “basta, io mi fermo”. So quello di cui ha bisogno un ciclista che si trova in quel momento particolare. Ha bisogno di qualcuno che porti tranquillità, senza invaderla. Che dica la parola giusta senza essere eccessivo. Leggevo la paura nei suoi occhi, ho provato a regalargli un po’ di serenità.


No. Avevamo un vantaggio tale che potevamo permetterci di fare qualche calcolo. Siamo andati su con la nostra andatura, pensando che tra qualche settimana Alberto sarà al via del Tour. Per provare a vincerlo. L’Astana ha corso alla grande, ma non ha mai rischiato di portarci via il Giro.


E chi dice il contrario? Però Contador, dopo quella tappa, ha detto una cosa molto giusta che in pochi hanno voluto ascoltare. “I grandi giri si vincono nelle giornate no, non nelle giornate in cui tutto va bene”. Quante volte l’ho detta e pensata, questa cosa, nella mia carriera. Quanto è vera questa frase. Le giornate no fanno la differenza tra una vittoria e una sconfitta: a vincere nelle giornate sì, son buoni tutti.


Sono nella lista. Ma deciderà la squadra, anche in base alle sensazioni che avrò nei prossimi giorni di lavoro e che comunicherò.


Non mi sono piaciuto. E quando io non mi piaccio, di solito lavoro cento volte di più per tornare un po’ più forte. Per tornare a piacermi.


È facile voler bene a Contador. Perché il suo sorriso non è finto: quello che vedete sul palco delle premiazioni è lo stesso che io vedo in camera tutte le sere. La gente queste cose le capisce perché la gente ha cuore, occhi e orecchie. Il tifoso non lo puoi ingannare.


È giovane, è forte, ha la testa giusta. Ha messo in difficoltà uno come Contador, non so se mi spiego. Ha il colore rosa dipinto nel suo futuro, un destino già scritto.


Ho un rispetto enorme per lui, per il suo modo di essere e di correre. Il segreto di Alberto? Ogni mattina si sveglia e si dimentica di essere Contador. Ogni mattina si sveglia ed è il ragazzino che vive un sogno, che vuole emergere, che deve conquistarsi tutto e che non ha ancora vinto niente. E soprattutto è il ragazzino che si diverte, tantissimo, a fare questo mestiere.


Sì. E non lo dico io, sia chiaro: lo ha detto lui. Lo ha detto a noi personalmente ma lo ha detto anche pubblicamente. E non l’ha fatto perché c’era un addetto stampa che lo obbligava a dire certe cose, ma perché ci credeva. Lui è stato con noi tutti i giorni del Teide, in ogni ritiro, nei giorni del Giro. Sa come abbiamo lavorato e quello che abbiamo fatto. Difendere la maglia rosa per diciassette giorni non è semplice: ti prosciuga di testa e anche di fisico, ti fa prendere il vento più degli altri. Poi noi siamo mancati, è vero: ma ci siamo fatti comunque un mazzo così.


Sì, ci penso eccome. E vi dico una cosa: nella mia testa è tutto molto, molto chiaro. E presto, prestissimo, saprete tutto anche voi.