Gianmarco Pozzecco analizza il presente ragionando sul futuro. Nella mente del coach della Openjobmetis c’è un progetto a lungo termine che mira a riportare in alto Varese, al di là difficoltà che la squadra sta attraversando in questa stagione, discretamente folle, a guardare i risultati.
«Perché se negli anni scorsi l’obiettivo primario della società era giustamente la sopravvivenza, ora tutto questo non ci basta più: ora dobbiamo conquistarci basi tecniche ed economiche tali da permetterci di lottare ad alto livello. E questo lo dobbiamo innanzitutto a Cecco Vescovi, persona che più di tutti merita una Pallacanestro Varese vincente».
La vigilia della partita di domani sera alle 18.15 a Masnago contro Pistoia, che offre ancora la chance di agguantare le Final 8 di Coppa Italia, è l’occasione per discutere di cosa aggiungere, nell’immediato o in prospettiva, a questa Openjobmetis, che ha sofferto di qualche mancanza. «Quella di Kangur innanzitutto, e giuro che odio quegli allenatori che vanno sempre a cercare alibi, ma sono le statistiche di Kristjan, una per uno, a dirlo chiaramente – afferma il Poz – E poi manca evidentemente un giocatore italiano di riferimento, che abbia le caratteristiche giuste per essere leader: ammetto che, se potessi tornare indietro, valuterei più a fondo la necessità di inserire nel gruppo un elemento di questo genere».
Uomini alla Basile o alla Soragna, «che hanno dato a me più di quanto io abbia dato a loro». Ma anche stranieri più consapevoli di cosa sia il nostro campionato. «Più connessi, piace dire a me». Il che non significa necessariamente che Varese tornerà sul mercato a breve. «Cambiare in corsa non mi piace, perché da ex giocatore so bene cosa si provi ad essere messo fuori squadra e so anche come situazioni del genere creino una sorta di sfiducia anche nel resto del gruppo». La sintesi è: «Lavorare sul futuro senza trascurare il presente, con l’obiettivo anzi di mantenere immutati l’interesse e l’immensa passione di Varese per la pallacanestro».
A cominciare da domani, serata in cui il PalaWhirlpool si riempirà di nuovo, di gente, affetto, compartecipazione. «Il basket di oggi è diverso anche da quello dei miei tempi – dice il Poz – Non c’è nulla di scontato, mai. Però io dico che noi abbiamo talento, fisicità e atletismo per imporre il nostro gioco sempre: la mia è una filosofia “rusconiana”, del guardare in casa nostra, lavorando innanzitutto su di noi».
Qualcosa però, soprattutto a livello di convinzione e continuità, finora è mancato. «Sono dispiaciuto del fatto che non siamo cresciuti come dovevamo, anche se basterebbe poco per farlo. Non abbiamo ancora assimilato determinate certezze e dopo una sconfitta fatichiamo a credere che quanto costruito prima fosse realmente buono». Una considerazione che è anche il frutto di riflessioni generali sul basket contemporaneo e i suoi protagonisti. «I giocatori di oggi spesso sanno fare tante cose, ma non sanno quali fra queste sanno fare bene: non sono consapevoli dei propri limiti e pertanto li rifiutano, considerandoli un handicap. Quando saremo consci di quali siano i compiti di ciascuno troveremo anche maggiore continuità». La “vita da mediano” non piace evidentemente più a nessuno.