Odore di terra e birra: siamo tornati noi stessi

Il commento del direttore Andrea Confalonieri dopo il 2-2 del Varese a Trezzano sul Naviglio nella seconda giornata di Coppa Italia Eccellenza

Dall’Olimpico al centro sportivo Vigor di Trezzano sul Naviglio ma se sei un tifoso del Varese torni a casa più orgoglioso, innamorato ed entusiasta che mai. Perché solo a questa squadra capitano dei giri strani, certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano. Perché siamo tornati al vero giornalismo: Giro d’Italia a un metro dal corridore e dalla vita, seduti sotto una pianta, come sul Mortirolo quando potevi toccare Pantani. E ti accorgi cosa ti aveva portato via la serie B, un pezzetto di quello che ci siamo ripresi anche ieri. E poi questi trecento, forse quattrocento tifosi per una partita di Coppa Italia a 34 gradi; dentro ci sono tante cose, ma soprattutto una: il Varese è tornato a essere quello che aveva smesso di essere. Profumo di terra bagnata dall’acqua, partite in cui ci infili tante cose: le salamelle, gli amici, , questo presidente che non sbandiera varesinità e poi si siede in mezzo a noi. Ma non per farsi vedere dalla gente. Un presidente che, quando torneremo all’Olimpico, non sarà sulle poltrone di velluto ma col culo sui gradini, con questi stessi trecento. Quasi cotti nel forno di Trezzano ma ci basta un cambio, una mezza giocata, l’orgoglio che batte sugli spalti e sotto le maglie per girare una doccia gelata o un brodo caldo in un bagno di salute. Qualcosa ci ricordavamo dell’Eccellenza, adesso iniziamo a ragionare meglio: certi tocchi girano le partite ma se non hai le stesse palle (non quelle da gioco) e l’umiltà degli avversari ci resti sotto. Il Trezzano, che avrebbe ricevuto le chiavi della città dal sindaco se avesse vinto (accadrà ovunque), è

in cima da anni e, per compattezza e attaccamento, è la copia del Verbano che ci aspetta alla Bombonera: l’importante era imparare qualcosa, vedere le prime lacune e colmarle, non spezzare la catena incredibile dell’amore e dell’entusiasmo con i tifosi, immensi, purissimi. Finalmente entriamo in sintonia con la vita che ci aspetta, abbiamo reagito due volte a due cazzotti, sintomo di attributi. l’ha letta bene: li ha alzati di peso a metà tempo, ha tamponato l’assenza dei due fari di centrocampo e (oltre a ) avanzando , ha inserito – credici, sei l’uomo che nessuno si aspetta ma noi sì, sarai decisivo se sei cattivo, ad ogni tiro puoi fare un gol, se tiri… – cambiando la partita perché aveva bisogno di una spalla tecnica con cui dialogare, di palle, di un uomo che va in profondità. Prendersi una doccia ghiacciata nel caldo africano, e prendersela per una squadra che soffre, cade e risale in un campo senza lampioni, con la rete a due metri dalle righe laterali, con i palloni che non tornano più indietro quando li spazzi via alti perché finiscono nel Naviglio.C’è l’assenza di Capelloni, l’uomo-compasso che calibra i tempi e i palloni, dettando i battiti del cuore biancorosso, per non parlare di quella di Gazo, dopo 26 giorni di vita con 20 giocatori che non hanno mai giocato assieme, i milanesi con 7 vecchi e 4 giovani (noi il contrario) nati sotto questa maglia. Va bene così: voliamo a mezz’altezza, denti stretti e testa bassa, senza il rischio di schiantarci, protetti da due ali di tifosi che non hanno paura di farsi male perché gliene hanno già fatto troppo.