Ero sotto la tribuna, davanti al cancello che dà sul campo, assieme al mio procuratore. Ho visto gli spalti del Franco Ossola vuoti, e lì ho capito. Ho capito tutto. Ho capito che dovevo far parte del Varese anch’io». Inizia così la storia di Carmine Marrazzo, la nuova macchina da gol biancorossa. Quella che dietro la schiena porta marchiato il numero 9.
Perché avevo bisogno di stimoli, di una piazza importante. Sa cosa ho detto al mio procuratore prima della firma, sotto quella tribuna?
L’unica cosa che mi preoccupa è la salita della pista per andare ad esultare…
Prima della partita col Tradate, Paolo Basile, il nostro general manager, ci ha fatto un discorso che se ci penso ora ho i brividi, giuro. Ci ha raccontato di quando lui andava in curva a vedere il Varese, ci ha raccontato degli ultimi due anni drammatici che hanno dovuto vivere i tifosi. Io corro a festeggiarli da loro, i miei gol, per ringraziarli, per dire a ognuno: «Ora è tutta un’altra storia».
Poi, diciamoci la verità, io sono un tifoso della Salernitana, e se non avessi fatto il calciatore sarei stato un ultras. Ricordo che per andare a seguire la squadra mettevo da parte i soldi, e se i calciatori non venivano sotto la curva a esultare mi incazzavo. I miei gol, sono tutti per loro.
Sono onorato di ciò: Pavo è un grande, un vero campione. Spero di regalare le stesse gioie che ha regalato lui a questa città. Se le merita.
Ai miei figli. Loro sono tutto per me. Io, purtroppo, con la vita che faccio li vivo poco. Oggi, è il compleanno dei miei due gemelli: Kevin e Michelle, e io non ci sarò. Capite, in quel pallone, per me, è racchiuso tutto l’amore che ho per loro. Per le mie tre piccole gioie. Il terzo, anzi il primo, il più grande, si chiama Kevin. A loro do tutto. Tutto me stesso.
Sì, ma più che uomo spogliatoio, sono un giullare, un casinista. Diciamo che mi piace divertirmi e con questo gruppo mi trovo alla grande. Siamo una famiglia. La sera, una volta a settimana, andiamo a mangiare alla Caprese una pizza, tutti assieme… sapete chi ce l’ha ordinato?
Nessuno. Lo facciamo per stare assieme. Gheller, Capelloni, Luoni e tutti gli altri sono persone speciali. Basta pensare alla scelta che ha fatto proprio Luoni: rimanere a Varese, dalla Serie B. Aveva tante proposte in Lega Pro e invece ha scelto casa sua col cuore. A me, questa cosa, fa venire la pelle d’oca.
Ci conosciamo da tanto, d’estate facevamo i tornei assieme a Brescia. Scrivetelo, non ne ha mai vinto uno… Comunque sì, a Piacenza, quando diventai capocannoniere, mi chiamarono Ma Re; mi diedero anche una corona di carta.
Sì, tanta gente mi ha dato del pazzo quando ha saputo che venivo a Varese, ma io so che questa era l’unica scelta giusta da fare.
Non mi piace fare paragoni. A Piacenza c’era un pubblico incredibile, allo stadio venivano in tantissimi. Ma qui è successo qualcosa che non mi era mai capitato…
Vedere in trasferta 1500 persone. È stato pazzesco. Sapete cosa mi ha detto un loro giocatore quando siamo entrati in campo?
Mi ha detto: «Bomber, potevate dircelo che giocavate in casa». Incredibile, davvero. Incredibile.
Non credo, sinceramente. Secondo me la gente ha visto che loro, anche dopo 6 gol presi, hanno lottato su tutti i palloni. Hanno onorato il campo e sono stati leali. L’applauso era meritato.
Non ve lo devo spiegare io cosa significa (ride, ndr.). Paolo Maccecchini è un grande, è uno che dà tutto senza chiedere in cambio niente. E lo fa senza che nessuno gli chieda nulla. Credetemi, è una persona che fa bene al calcio.