«Con quella gente dietro la mia porta era davvero impossibile prendere un gol»

A tu per tu con Claudio Bordin, portiere del Varese, che ormai è diventato per tutti il “Ragno Nero”: «Giocare qui, un sogno che si realizza. Volare tra i pali mi dà le emozioni di un’arrampicata in parete»

L’ultimo uomo prima del crollo finale. L’ultimo baluardo prima della sconfitta. L’uomo nel mirino, quello degli avversari. L’uomo vestito di nero, con un numero uno stampato della schiena. L’uomo che tra quei pali, ci ha già fatto vedere di avere otto mani, come fosse un ragno. Il Ragno Nero Claudio Bordin.


Stupendo, indipendentemente dalla categoria. La prima volta che ho messo questa maglia addosso avevo 17 anni, ed ero orgogliosissimo. Il Milan, in cui ho giocato per 4 anni, mi è servito tanto a crescere come giocatore e come persona. Insomma, andare ad allenarsi a Rozzano, a 80 km di distanza, ogni giorno, non è facilissimo: vuol dire rinunciare a tante cose. Giocare oggi per il Varese, invece, è un sogno realizzato…


Portare tra i professionisti il Varese.


Io volo basso nella vita, volo solo tra i pali.


Il Ragno Nero.


Sì che mi piace, è un soprannome che può durare a lungo.


E’ vero (ride). Quando ho iniziato a giocare a calcio facevo il terzino ma ero una ciste, davvero. Mio papà veniva vedermi giocare, e dopo qualche partita mi ha detto: «Se non cambi ruolo, ti cambio sport. Vai, prova ad andare tra i pali». Così ho fatto, mica volevo cambiare sport, mi piace il calcio, e devo dire che mi riesce meglio fare il portiere.


Praticavo, vi correggo. Fino a un paio d’anni fa facevo arrampicata, poi ho mollato perché i miei non dormivano più la notte per la preoccupazione.


Amo la montagna, e lo devo solo a nonno Vittorio, ci andiamo assieme. Poi volete mettere il brivido che si prova sospesi in aria, attaccati a una parete di roccia a 500, 600 metri d’altezza? È incredibile, indescrivibile.


Fare il portiere è una cosa che amo perché se va bene sei un eroe e se sbagli sei nell’occhio del ciclone. Mi piace rischiare, se non si era capito. Giuro, di questo ruolo amo le partite dove magari non fai nulla e poi, tutt’ad un tratto, ti capita la parata decisiva, quella che vale vita o morte. Se prendi quella palla… non ve lo so spiegare, ma è magico.


Eh sì. Quando giocavo a Lecco ne ho presi tanti dagli avversari. Ma sapete una cosa?


Mi carica quando gli avversari mi insultano, ogni parata che faccio è una dedica per loro.


Sono straordinari, la nostra è una curva da Serie A, avete visto che tifo infuocato a Besozzo? Giuro, mi hanno trasmesso una carica incredibile, poi ogni tanto, quando controllavo la porta lì davanti, mi hanno incitato ed è stato stupendo. Poi, devo dire che mi piace andare in Curva Nord, a vedere la pallacanestro. Quindi so quanto quei ragazzi ci tengono e so quanto possono regalarti. Con loro dietro la mia porta era impossibile prendere gol.


La scaramanzia, ovvio.


Beh, ho i miei rituali il giorno della partita, che non posso sbagliare. Non posso sbagliare nemmeno l’ordine in cui li eseguo, altrimenti è un giorno drammatico. Credetemi.


Allora, la mattina mi sveglio alle 7.30, non un minuto di più, non uno di meno. Poi, a tavola non sia mai che mi presentano le verdure, non le mangio. Assolutamente. L’unica cosa che metto in bocca il giorno della partita sono pasta in bianco e bresaola. Infine, prima della partita, infilo sempre e solo il guantone sinistro e poi il destro. Mai invertire l’ordine. Mai.


Sui guantoni no, sono immacolati per prendere la palla. I parastinchi invece sono particolari: ho il numero 32, il primo numero che ho avuto sulla maglietta e poi ho i personaggi dei cartoni animati.


Una partita difficile. Loro verranno qui, a Masnago, sapendo di giocare contro il Varese, e quindi daranno tutto. Ma sapete cosa vi dico? Dobbiamo essere noi stessi a pensare di giocare contro il Varese, solo così avremo quella motivazione in più, la stessa dei nostri avversari.