Quindici gol in dodici partite hanno fatto diventare Carmine Marrazzo l’idolo di Varese. L’attaccante biancorosso è entrato nel cuore dei tifosi non solo gonfiando la rete ma per la sua disponibilità nei confronti del pubblico e per la sua umanità.
Certo e proprio perché sono arrivato a quota 15, raggiungendo il premio, ho deciso di offrire una cena ai miei compagni di squadra. Se segno così tanto è per merito loro, come non mi stuferò mai di ripetere. E per questo li ho invitati al ristorante. I miei gol però sono 21: bisogna aggiungere i sei che ho realizzato nelle partite di Coppa.
Vi ringrazio della stima. In Eccellenza ero già stato con il Piacenza e avevo vinto il campionato ma io non ho mai fatto una questione di categorie. Tutto dipende da come affronti la partita la domenica. Io non le prendo mai sotto gamba e do il cento per cento come se fosse sempre la gara della vita. Quando si indossa una maglia come quella del Varese tutto è poi molto più facile.
Vuol dire dare sempre il massimo in campo e fuori. La squadra la vivo anche andando al supermercato a fare la spesa o girando per il centro e l’entusiasmo che respiro è unico. Questo Varese è fatto di persone genuine capaci di costruire un buon feeling con le famiglie che vengono allo stadio e la cosa più bella di ogni domenica è fermarsi subito dopo il novantesimo a parlare con i tifosi, per fare quattro chiacchiere e conoscerci.
Al sud ci sono piazze molto calorose ma Varese non è da meno: dove trovi una piazza che ogni domenica porta in trasferta millecinquecento persone? Quando giochiamo fuori casa e guardiamo le tribune, queste sono sempre biancorosse. Con un seguito del genere è tutto più semplice.
Certo. Ero un ultrà della Salernitana e facevo chilometri per andare in trasferta. Sono stato dappertutto ed è capitato, in occasione di alcune partite giocate molto lontano dalla mia città, che qualche giocatore, dopo il gol, non venisse neppure a festeggiare sotto la curva. Io ci rimanevo sempre molto male e per questo ho promesso che sarei sempre andato a gioire davanti ai tifosi al seguito. Farlo a Varese, con tutta questa gente che si trova su tutti i campi, è una gioia immensa.
Ho fatto tanti anni di Lega Pro e ho scelto di scendere in D perché avevo richieste irrinunciabili. Forse non mi merito la B ed è per questo che non ci sono arrivato. Ma anche Neto Pereira se l’è conquistata piuttosto in là con l’età. Anch’io non sono più giovanissimo e vi rispondo con il classico mai dire mai: me la vado a prendere con il Varese e poi smetto.
Certo, era il 2008 e giocavo ancora nella Valenzana con cui avevo espugnato il Franco Ossola. Dopo lo svantaggio (per il Varese aveva segnato Lepore, ndr), ero stato io a pareggiare mentre Alberti e Cotellessa avevano chiuso i conti. Non avrei mai immaginato che un giorno avrei esultato così tante volte a Masnago in biancorosso…
Non ho problemi a fare il suo nome perché lui è uno di quelli che non si monta la testa: Lorenzo Lercara. Abbiamo giocato molte partite fianco a fianco e, nonostante sia giovanissimo, è già molto maturo tatticamente. È intelligente e in allenamento ruba il mestiere dai vecchietti come me, Pià e anche da Giovio. Lo stesso facevo io da ragazzo.
Quando ero alla Primavera della Fiorentina, tenevo d’occhio Adriano e Chiesa, che aveva delle caratteristiche simili alle mie. Ho fatto tesoro da entrambi i giocatori, che mi hanno insegnato ad arrivare sotto porta non per spaccarla ma per prenderla.
Il precedente di Coppa non fa testo anche perché i nostri avversari erano rimasti subito in dieci. Il Tradate ha 18 punti e sta bene. Poi verrà al Franco Ossola per dare il mille per mille.
Non è facile ma siamo noi, i miei compagni e il nostro allenatore, a fare diventare facili le cose. Le difficoltà sono comunque sempre dietro l’angolo e dobbiamo essere bravi a continuare sulla nostra strada. Siamo davanti a tutti e la promozione dipende solo da noi. Il nostro segreto è vivere unicamente di Varese: io ne parlo continuamente, anche quando sono a tavola con i miei figli. Viviamo di pane e Varese.