Pubblici esercizi, il Pgt blocca la liberalizzazione: così in città al posto di bar e ristoranti spuntano come funghi i laboratori artigianali.
«Cambieremo sicuramente quella norma» promette l’assessore all’urbanistica , pronto a recepire la richiesta di Ascom nella variante generale al piano, in corso di elaborazione.
L’articolo 46 delle norme tecniche di attuazione del Pgt non lascia scampo a chi vuole avviare nuove attività commerciali come bar o ristoranti: per i pubblici esercizi impone, testualmente, «cento per cento della superficie lorda di pavimento, da adibire a parcheggio. La monetizzazione non è ammessa».
In soldoni, chi vuole aprire un locale – e potrebbe farlo senza vincoli grazie alla liberalizzazione che ha soppresso le vecchie licenze – deve garantire una quantità di parcheggi ad uso pubblico pari alla superficie del locale. Per 100 metri quadrati di ristorante, altrettanti destinati a posti auto, senza poter “monetizzare” (vale a dire, pagare al Comune una somma pari al valore dei parcheggi), come è permesso invece per gli altri esercizi di vicinato.
«In città è difficile reperire degli standard urbanistici, così il risultato è che si diffondono le attività artigianali, che non prevedono la somministrazione e non sono classificate come pubblici esercizi – spiega il direttore di Ascom – così si dequalifica l’offerta commerciale ed è difficile competere con le altre realtà. Ma dovrebbe essere il mercato a decidere quanti bar e ristoranti possono convivere in città, altrimenti la liberalizzazione rimane solo sulla carta. E ad avvantaggiarsi sono le grandi strutture fuori dal centro».
Per aggirare la restrizione prevista dal Pgt, spuntano come funghi pizzerie da asporto, kebab e laboratori artigianali che possono vendere cibo senza fare servizio al tavolo. Hanno meno vincoli e controlli, e non richiedono il corso per la somministrazione. Ecco perché Ascom ha subito chiesto, dopo il varo del Pgt, di cambiare quella norma.
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