L’imprenditore denuncia: «Invasi dai cinesi? Colpa nostra»

«La nostra industria muore. La battaglia dobbiamo condurla tutti i giorni quando facciamo la spesa». Nel momento in cui si parla di opportunità di investimenti cinesi a Busto Arsizio, dopo gli incontri avuti nei giorni scorsi dal sindaco , si leva l’allarme di , rappresentante di macchine tessili di Busto Arsizio, che da anni assiste impotente al declino del settore tessile della Manchester d’Italia, sempre più sopraffatto dalla concorrenza dell’estremo Oriente. «Lavoro

da sempre con le maglierie, che ormai sono una specie in via di estinzione – racconta – negli ultimi anni da una ventina che erano, ne sono rimaste aperte cinque o sei. Ma è colpa nostra, è colpa di chi acquista male e non si rende conto che anche quando fa la spesa dovrebbe favorire quelle aziende che danno lavoro in Italia. Senza posti di lavoro, finiamo con le pezze sul sedere».

Nel mirino c’è soprattutto «lo scandalo» del “Made in China” venduto ai prezzi del “Made in Italy”. «Sia chiaro, io non ce l’ho per principio con il “Made in China” e affini – puntualizza Scalabrino – se una merce di produzione cinese venisse fatta pagare per quello che vale, e per quello che costa a chi la produce in Oriente, dove il costo del lavoro è infinitamente più basso e le normative sono molto meno restrittive, il problema non si porrebbe. Ma se la grande distribuzione europea nasconde volutamente la tracciabilità delle merci per moltiplicare i propri margini, questo non va bene. E noi consumatori dobbiamo alzare le antenne».

Il rappresentante fa l’esempio di un grande magazzino di abbigliamento appena fuori dai confini di Busto Arsizio, dove ha trovato un capo fatto in Cina, decisamente scadente, proposto ad un prezzo del 50% superiore ad un altro capo, di buona qualità, realizzato in Italia.

«Io che lavoro nel settore riesco a capire la differenza e mi rendo conto di quanto margine il commerciante può caricare su un prodotto piuttosto che su quell’altro. Perché non educhiamo i consumatori a controllare le etichette e a chiedere trasparenza sui prodotti?».

Non è solo un problema di difesa della produzione italiana, perché un prodotto non certificato potrebbe anche contenere sostanze nocive, come mostrano continuamente le analisi compiute dai centri specializzati, come l’istituto Tessile e Salute di Biella, e come ribadirà il 15 e 16 novembre prossimi la due giorni Tex-2020 ai Molini Marzoli.

Ma Scalabrino da anni conduce una sua personale crociata contro i supermercati e i grandi magazzini del Basso Varesotto, per chiedere chiarezza sulla provenienza delle merci, anche nelle promozioni e nei regali a punti. «Ci vorrebbe un’educazione al consumo, ma le associazioni di queste cose non parlano – sostiene Scalabrino – eppure quando un nostro figlio o un nostro familiare non trova lavoro dovremmo chiederci se ci conviene davvero spendere pochi euro in meno per un elettrodomestico o un capo d’abbigliamento prodotto all’estero, perché dietro a quell’acquisto c’è qualche azienda italiana che muore».

Alla politica, che ha affossato la legge a tutela del made in Italy del bustocco e che in Europa da anni si batte invano per la tracciabilità obbligatoria,

Scalabrino chiede di percorrere altre strade: «Mi sono soffermato per un quarto d’ora con il ministro lunedì sera a Malpensafiere, senza ottenere risposte soddisfacenti».

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