I fuoriclasse non vanno in pensione

Forse bisognerebbe cominciare a rivalutare i vecchi del nostro calcio. La Juve stava riuscendo a non vincere una partita decisiva per lo scudetto, è entrato Del Piero, ha segnato e l’obiettivo è stato colto. La Roma stava sprofondando nella palude dopo la sconfitta di Lecce: un gol di Totti ha allontanato l’incubo. Talvolta gli allenatori scelgono guardando la carta d’identità mentre dovrebbero guardare al reale apporto che sono in grado di dare campioni troppo presto archiviati. In fondo e in senso lato, è una specie di rivincita per tutta la terza età. Esagero?

Paolo di Benedetto

I fuoriclasse perdono con il passare degli anni la brillantezza dei riflessi, non la qualità tecnica. Oggi poi una preparazione atletica più curata permette d’essere più longevi. Si rende fra i trentacinque e i quarant’anni come un decennio fa si rendeva fra i trenta e i trentacinque. In certi ruoli, inoltre, si riesce a occultare meglio che in altri il trascorrere della giovinezza.
Del Piero non finirà la carriera quest’anno, Totti neppure. Idem altri: per esempio Seedorf e Nesta, entrambi appetiti dalla Juve. Per non dire di Zanetti, strepitoso quarantenne interista. Gli allenatori di solito maneggiano con poco tatto i grandi giocatori: o se ne rendono psicologicamente schiavi o li emarginano per affermare la propria personalità. Esiste invece una via di mezzo: usarli secondo l’opportunità e con il loro consenso. Un campione non può, non deve, essere trattato come l’ultimo ragazzino. E non solo per il rispetto che gli si deve, ma per l’interesse della squadra in cui gioca. I giovani che crescono accanto ai campioni maturano più rapidamente. E i campioni invecchiano meno in fretta. Si integrano bene, insomma. Come nella vita lavorativa d’ogni giorno, in qualunque settore. Ma qui a un certo punto, più che la panchina decisa dall’azienda,  diventa coatta l’espulsione decretata dallo Stato: invece d’impiegare gli anziani in un diverso ruolo, li caccia dal campo.

Max Lodi

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