«Ecco che cosa mi hanno chiesto i carcerati»

L’incontro - La nostra Simona Carnaghi insieme ad altri tre giornalisti è entrata ai Miogni: per ascoltare

Un incontro faccia a faccia tra giornalisti e detenuti. Un faccia a faccia tra chi scrive e chi spesso è soggetto (talvolta purtroppo oggetto) di quegli stessi pezzi. Giornalisti, detenuti in un incontro che mette le une di fronte alle altre in realtà semplicemente otto persone. Per un confronto che, alla fine, si è rivelato estremamente utile per entrambe le parti.

Certo lo è stata per i giornalisti invitati alle 14 di ieri ai Miogni per un faccia a faccia arrivato al termine di un progetto che ha visto una parte della popolazione carceraria analizzare articoli di giornale relativi a fatti di cronaca nera e di cronaca giudiziaria sotto la lente di ingrandimento della Carta di Milano, adottata dall’Ordine dei Giornalisti della Lombardia nel 2013 e che sul fronte deontologico pone dei precisi limiti ai quali i cronisti devono attenersi.
Il faccia a faccia che ha visto presenti Paolo Grosso del quotidiano La Prealpina, Monica Terzaghi, direttore di Telesettelaghi, Roberto Rotondo, del quotidiano online Varesenews e corrispondente per Varese de Il Corriere della Sera, e della nostra Simona Carnaghi, e quattro detenuti che saranno per tutela della privacy indicati esclusivamente con nome di battesimo senza alcun cenno alla loro storia “giudiziaria” ovvero Italo, Antonio, Will e Ismael, ha visto Maria Mongello, responsabile dell’area educativa dei Miogni, sottolineare, nella presentazione, come «la Carta di Milano non tutela tutti i detenuti, ma si rivolge a chi ha già iniziato un percorso rieducativo e di reinserimento».
Qui siamo all’inizio: siamo al momento dell’arresto. Che non è una sentenza di condanna e come tale non deve mai essere trattata. E sono stati Will, Italo, Antonio e Ismael a intervistare i quattro giornalisti sul come alcune decisioni vengano prese all’interno di un giornale, sul perché talvolta le notizie vengano “drogate” con l’utilizzo di termini roboanti, sul perché di alcuni arrestati vengono pubblicati i nomi e di altri no. E soprattutto se, nella redazione di un giornale, ci si ponga il problema, prima di scrivere un titolo o un pezzo di garantire la dignità dell’arrestato salvaguardando anche i familiari della persona di cui si sta scrivendo. Rilievi esatti, precisi, puntuali, mediati dalla giornalista Ilaria Sesana, da Sergio Preite dell’Enaip, di Emanuela Giuliani presidente dell’associazione assistenti carcerati San Vittore Martire e Magda Ferrari, volontaria nella redazione “9 metri quadri news”, il quadrimestrale realizzato in seno al carcere dei Miogni dagli stessi detenuti. L’incontro ha di fatto sottolineato come raggiungere un equilibrio tra il diritto di cronaca e il diritto alla salvaguardia della dignità del detenuto può essere raggiunto.

Se è infatti vero che i quotidiani locali varesini di norma non pubblicano il nome e cognome di arrestati per reati ordinari e tutti si lavora per garantire massima tutela ai minori, quindi anche ai figli dei protagonisti dei fatti di cronaca, è altrettanto vero che talvolta i fatti vengono presentati con toni roboanti, quali blitz e assalto riferiti, come citato quale esempio concreto da Italo, ad una rapina in un supermercato del valore di 700 euro. Lo stesso

vale per la verifica delle notizia: un giornalista lo fa cercando sempre di chiudere il cerchio. Scegliendo fonti qualificate che, non sempre però, anzi quasi mai, vogliono “dare la notizia”, mentre il cronista, e in questo l’online ha ulteriormente pigiato il piede sull’acceleratore, ha un lasso di tempo molto, molto stringato per poter consegnare un pezzo. E vi è l’obbligo per il giornalista di dare la notizia. Un confronto che ha portato, alla fine, ad una proposta concreta.

Se la Carta di Milano non tutela la tipologia di detenuti ai Miogni, l’idea è quella di creare una mini Carta di Varese, mettendo i quattro cronisti che ieri hanno preso parte alla tavola rotonda e i detenuti a discutere in cerca di quel famoso equilibrio tra cronaca e tutela della dignità del detenuto di cui si parlava prima. La proposta ha raccolto soltanto consensi e sul tavolo ci sono già quattro punti da sviluppare affinchè possano essere inseriti nella Carta di Varese. Il primo riguarda l’opportunità della pubblicazione di nomi e cognomi degli arrestati. Il secondo riguarda un più consapevole e corretto utilizzo della terminologia da parte del cronista. Quindi c’è la questione rettifica: molti detenuti hanno visto raccontate un modo inesatto le loro storie, oppure si sono visti assolvere senza che sui giornali comparisse una riga. Infine il punto forse più delicato ed attuale: la possibilità di contestualizzare il quadro sociale entro il quale avviene l’arresto. Molto spesso, infatti, un arresto per furto nasconde non un criminale ma tanta fame. Nasconde un contesto di disagio, di difficoltà, non un incallito criminale. L’idea è quella di confrontarsi continuando il percorso iniziando ieri pomeriggio. E il prossimo numero di 9 metri quadri news sarà monografico su questo faccia a faccia: con in pagina impressioni di detenuti e giornalisti.