La tragedia di Busto Arsizio, con il disoccupato che muore nell’incendio causato da una candela, l’unico suo mezzo per avere la luce dopo che gli avevano tolto l’elettricità, ci fa capire quanto disagio circoli e non se ne sappia nulla. O forse, per meglio dire: se ne sa, però non vi si bada. Un’attenzione un po’ distratta, e poi avanti come al solito nella propria indaffaratissima vita. Di quelle degli altri, ci importa sì e no. Ricordarsene quando avviene una tragedia, è troppo tardi.
Ester Crugnola
Non è mai troppo tardi per affacciarsi alla realtà delle vite tribolate. Talvolta la colpa d’una scarsa attenzione è dell’indifferenza, incubata da un egoismo di fondo: prima viene l’io e solo dopo il noi. Tal’altra a tenerci lontano dalla gravità d’una situazione è lo spirito dignitoso da cui è preso chi vi si dibatte. Una sorta di barriera del pudore che vieta agli estranei d’addentrarsi nel privato della sofferenza. Spesso, al peggiorare delle condizioni di vita,
sopravviene l’umile orgoglio della riservatezza, che esclude la possibilità di chiedere un aiuto perché la si ritiene mortificante, quasi che fosse una sconveniente denunzia della propria fragilità. Detto questo, va aggiunto che la tensione al solidarismo non è mai in eccesso. Il nostro territorio è di quotidiana esemplarità sul fronte dell’assistenza ai meno fortunati, eppure quest’impegno istituzionale e spontaneo non basta. Bisogna ascoltare di più, guardare di più, capire di più, accorgersi di più.
La scoperta improvvisa d’una altrui condizione di miseria è la scoperta della propria incapacità d’essere riusciti utili là dove bisognava esserlo. Oltre ad ascoltare chi grida, bisognerebbe (bisogna) parlare a chi è silenzioso.
Max Lodi