«Ora sei in Nazionale. Vittoria per lo sport. Ho solo una maglia. appesa in casa mia»

Pavo, senti il tuo mister - Nessuno conosce “Leo” come Stefano Bettinelli: «Mi ricorda il Totò Schillaci di Italia ’90: un leader amato dai compagni. Mette il gruppo davanti a sé e vive per i colori che indossa»

«Io sono solo un povero cadetto di Guascogna, però non la sopporto la gente che non sogna». Lo canta Francesco Guccini, ma lo penserà anche Leonardo Pavoletti, che lunedì sera ha festeggiato la sua prima convocazione in nazionale. Dalla Serie D all’Italia, passando per tutte le categorie, segnando e facendosi amare in ogni squadra in cui ha giocato. Ha lasciato ovunque il segno, si è speso, quella maglia azzurra l’ha sognata da sempre, l’ha cercata, l’ha sudata, l’ha meritata e finalmente l’ha ottenuta.Ha sempre creduto nell’etica del lavoro, del gruppo, è caduto, si è rialzato, si è infortunato ed è tornato, ogni volta più forte della sua versione precedente.

Lo abbiamo ammirato e conosciuto anche noi, a Varese, ma meglio di noi lo ha conosciuto Stefano Bettinelli, che ci racconta la gioia per la convocazione di Leo: «A volte nel calcio ciò che fa la differenza è il campo e non quello che c’è intorno, e questa è una di quelle. Ha parlato solo il campo, è una vittoria dello sport, perché Pavoletti non può non avere una chance di dimostrare il suo valore anche in nazionale. Giocatori del suo ruolo e con le sue qualità non ce ne sono molti in Italia al momento».
Ma che giocatore ha conosciuto Stefano Bettinelli? «Leo è un attaccante moderno, è il primo difensore, si occupa sia di costruzione che di interdizione. Le sue migliori qualità sono quelle acrobatiche, sia di testa che di piede. Ha una qualità non comune, innata, perché riesce ad attaccare la porta in maniera straordinaria, non palla al piede, ma quando la squadra cerca la profondità. Quando trova il modo di farlo diventa fenomenale».
Alcuni tifosi di Leo hanno anche aperto una pagina Facebook che invocava la sua convocazione. Si è sollevata un’onda popolare che ha sostenuto la sua candidatura per la maglia azzurra: «Penso dipenda dalle sue qualità morali; anche non conoscendolo, uno spettatore non può non essere coinvolto dalla sua generosità – prosegue il “Betti” – Vive per la squadra, per la maglia che indossa, e non solo per segnare. La gente vede in Pavoletti il lottatore, l’uomo simbolo, il trascinatore, che a tutto questo abbina la capacità di far gol in tutti i modi. È un uomo squadra, e lo noti anche nelle esultanze: i compagni di squadra lo abbracciano, lo sommergono, sintomo che sono davvero felici che abbia segnato lui per tutto quello che fa per la squadra. In ottica nazionale, mi ricorda molto lo Schillaci di Italia ’90».
E Bettinelli che ricordi ha di Pavoletti? «Mi viene in mente la finale playout contro il Novara: lui sapeva benissimo che a fine stagione sarebbe andato in Serie A, probabilmente nella sua situazione qualsiasi altro giocatore avrebbe tirato indietro la gamba e non avrebbe dato tutto come ha fatto lui. Ma fa parte del carattere, delle caratteristiche delle persone. Pavo è una di quelle persone che si possono considerare vincente, leader. Non gioca solo per vincere ma le sue vittorie se le costruisce con sudore. Ed in questo lo sento molto simile a me, è difficile da spiegare, ma è uno che non si risparmia mai. Io sapevo che in quelle due partite con il Novara avrebbe pensato solo al bene del Varese, vive per la maglia che indossa, è nel suo dna. Il suo stesso spirito lo ha anche Arturo Lupoli, che l’anno scorso a Lanciano sputò sangue ben sapendo di essere già stato venduto al Frosinone. Sono giocatori che mettono il bene della squadra davanti al proprio».

La soddisfazione di Bettinelli nel vedere Pavoletti in azzurro è grande: «Non so se andrà agli Europei, perché questo è solo uno stage. Personalmente però provo una gioia immensa per lui perché se lo merita. L’ho apprezzato sia come uomo che come calciatore, ma voi mi conoscete e sapete bene che per me conta prima l’uomo. Sono felice perché non è un giocatore a cui tutto è andato bene negli ultimi anni, ma si è costruito giorno per giorno ed allenamento per allenamento il suo successo. É arrivato in A con il Sassuolo, lo hanno rispedito in B e non ha battuto ciglio, è tornato a Sassuolo, non giocava, è finito a Genova e finalmente ha avuto la possibilità di imporsi. Ha avuto diversi infortuni ma ogni volta è risorto come una fenice tornando sempre più forte».
Ed il pubblico a Varese lo ha sempre amato per la sua genuinità: «Mi viene in mente quel coro dagli spalti “Leo, Leo”, semplice ma evocativo, importante. Ha sempre avuto la capacità di farsi amare ma non a parole, con i gesti, non si è mai venduto. Vi rivelo una cosa: in tanti anni di calcio, ho appeso un solo cimelio in casa mia, ed è la maglietta con la scritta “Grazie Betti” indossata da Leo nella finale playout. Perché ho sempre sentito Leonardo molto vicino a me caratterialmente e come personalità: io sono stato un giocatore normale, ho fatto il meglio per quelle che erano le mie possibilità. Però ho sempre avuto tenacia e volontà, qualità che poi ti portano a migliorarti in tantissime cose. Credo che Leo abbia anche per questo, non si dà mai per vinto, si butta con il cuore in ogni cosa che si fa, perché se si fa bisogna farla così».