Terremoto Miogni: l’inchiesta si allarga, ci sono altri sei indagati. Sono altri agenti appartenenti alla polizia penitenziaria di Varese: l’autorità giudiziaria sta conducendo indagini su loro.
Il sospetto è che i nuovi indagati sapessero del piano per l’evasione dei tre detenuti, e del diretto coinvolgimento dei cinque colleghi poi arrestati, ma che abbiano taciuto.
Condotta omissiva, insomma, non è ancora chiaro se mantenuta in cambio di qualcosa oppure per spirito di corpo.
Accertamenti sono in corso su computer, cellulari e pen drive finiti sotto sequestro. In tutto ad oggi, per la magistratura, sarebbe 20 i coinvolti nella rocambolesca fuga andata in scena il 21 febbraio del 2013 dal carcere varesino.
Il 9 dicembre scorso, all’alba, scattarono le manette per cinque agenti della polizia penitenziaria di Varese: in manette, finirono un graduato del carcere di Varese, , 45 anni, assistente capo, e quattro agenti: di 55 anni, di 57 anni, di 28 anni e di 40 anni.
A far scattare le manette fu un’operazione congiunta tra polizia penitenziaria di Varese, carabinieri di Luino, squadra mobile guardia di finanza.
Per l’accusa i cinque arrestati ricevettero sesso e denaro per far evadere, 31 anni, , 30 anni e, 25 anni, tutti romeni. Miclea, in particolare, era in carcere per sfruttamento della prostituzione. Considerato la mente del piano avrebbe fornito ragazze gratis ai cinque coinvolti. Contestualmente ai cinque arresti, furono iscritti nel registro degli indagati altri nove agenti della penitenziaria.
Da settimane la procura è impegnata in una lunga serie di interrogatori. Indagando altri sei appartenenti alla Penitenziaria e portando a 20 il numero di agenti sospettati di essere coinvolti in un gran giro di corruzione tutta interna ai Miogni.
Già dall’ordinanza firmata dal gip che ha portato a far scattare le manette lo scorso dicembre era chiaro che anche altri fossero quantomeno informati del piano di fuga. Tra chi per tre ore sentì il rumore causato dalla lima usata dai tre fuggiaschi per segare le sbarre della finestra della cella attraverso la quale i detenuti scapparono, a chi sapeva che ai tre erano stati forniti telefoni cellulari attraverso i quali la fuga fu organizzata, sino a chi pur avendo colto anomalie e irregolarità commesse dai colleghi evitò di segnalare l’accaduto al direttore del carcere.
Fu un “gioco di squadra” tra chi era direttamente coinvolto e chi fece finta di non sapere? Qualcun altro ricevette denaro o sesso per voltarsi dall’altra parte? Furono effettivamente chiesti favori ai detenuti? L’inchiesta della procura punta in questa direzione.