Festa della Lega, Bossi non molla Ma la base chiede rinnovamento

BESOZZO «La linea della Lega non cambia» annuncia Umberto Bossi alla festa di Besozzo. Mazurka, salamelle e indipendenza come ai vecchi tempi, ma nel frattempo la Lega è cambiata. E il leader non sembra più quello di una volta. «È il capo» lo annuncia dal palco il senatore Fabio Rizzi, padrone di casa, chiamandolo «il presidente», come decretato dal congresso di Assago. «La Lega ha la sua linea, che non può essere modificata – dice Bossi – è quella dell’indipendenza della Padania. C’è tanta gente che ha giurato di lottare fino alla libertà». Arriva accolto dai

cori «Bossi, Bossi» e dalle bandiere degli ultrà del Capo. «Non ti butta giù nessuno». Scende dall’auto accendendo l’immancabile sigaro toscano, risponde a qualche domanda dei giornalisti e poi fa la sua passerella in mezzo ai tavoli dei militanti. I fedelissimi sono sempre al suo fianco, c’è persino un gruppo di militanti che viene apposta da Cervia. «Ci saranno ancora tante feste della Lega» ne è convinto Bossi. Sui primi giorni dopo il congresso in cui ha passato la mano a Maroni, non lascia spazio alle polemiche: «Li ho passati abbastanza bene. Ero già preparato mentalmente».

Il comizio lo apre Angelo Alessandri, leader della Lega emiliana che accompagna Bossi e che senza mezzi termini manda a quel paese Napolitano e Monti: «Il sistema non ti lascia cambiare, ci vuole una rivoluzione di popolo». Poi il palco è per Bossi, che ribadisce la sua linea. «Roma traffica, ci colpisce – così il Capo arringa la folla – dice che il nostro amministratore è legato alla ‘ndrangheta, invece è un ladruncolo, guarda caso non l’hanno nemmeno messo agli arresti domiciliari. Dai conti della Lega guarda caso non è uscita nemmeno una virgola». E giù con gli attacchi ai magistrati e ai giornali «farabutti». Ora la nuova missione è «la regione padano-alpina», nel contesto di «un’Europa delle regioni». È un ritorno alle origini, alle parole d’ordine contro «il centralismo romano», in cui i mancati risultati ottenuti in questi anni di governo vengono in parte attribuiti al Nord distratto: «Abituato a subire per decenni, se fosse stato reattivo le cose sarebbero andate diversamente». Ma oggi «non è più la piccola Padania contro la grande Roma». L’obiettivo è raggiungibile. Poco prima, mangiando polenta e bruscitt, il Senatur aveva detto che «la Lega riparte da Besozzo». Il paese di Rizzi è uno snodo significativo dell’evoluzione del movimento da un anno e mezzo a questa parte.

Dai tempi in cui i lumbard erano solidamente al governo e cercavano di portare a casa il federalismo. Era il 26 marzo 2011, e proprio a Besozzo Bossi annunciava che «Berlusconi non fa niente senza la Lega», a margine di un convegno sul federalismo della Fondazione Carlo Cattaneo, al quale partecipava anche Daniele Marantelli del Pd. Il 10 luglio, un anno fa, sempre dal palco della festa della Lega di Besozzo l’Umberto, sul palco insieme a Roberto Calderoli, Giangiacomo Longoni e Rizzi, mostrava il

dito medio contro il tricolore. Lo scorso aprile invece Besozzo fu il teatro dell’incoronazione di Roberto Maroni a suo successore. «È lui il bene della Lega» diceva Bossi di fronte alla risottata verde organizzata per la campagna elettorale. Ieri sera, ancora a Besozzo, la prima uscita dopo il congresso del Forum di Assago. Da presidente e non più da segretario federale. Bossi è sempre lui, «el ghe» come evocano le magliette in stile Che Guevara indossate dai militanti. Ma la Lega ormai è cambiata.

e.marletta

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