Gli accostamenti tra calcio e basket non hanno quasi mai un gusto memorabile, ma nel caso specifico sembrano poter calzare a pennello. Oggi pomeriggio la Varesina Calcio – che a beneficio dei “cestofili” ricordiamo essere una splendida realtà del campionato di serie D – andrà a giocare per la prima volta nella sua giovane storia in uno stadio che ha celebrato numerosi campionati di serie A: il Garilli di Piacenza. Un sogno per la squadra di Venegono, tanto da far esclamare al patron Lino Di Caro: «Ci siamo meritati l’onore immenso di questa partita».
Cambiamo sport, coloriamo la palla di arancio e scanaliamola. Oggi pomeriggio (palla a due ore 18.15), la Openjobmetis Varese affronterà la Betaland Capo d’Orlando al Palawhirlpool, in una sfida cruciale per non retrocedere. Non lo ha detto quasi nessuno e quindi non lo virgolettiamo, ma lo pensano quasi tutte le persone dotate di senno: Varese si è meritata l’onere di questa partita. Basta una vocale a rivoltare il mondo. Onere significa peso, impegno, obbligo gravoso. È un qualcosa che ti porti sulle spalle senza proferire parola, con acuto fastidio, qualcosa di lontano da accezioni che rimandino alla gloria: dovessi anche disfartene, riuscissi a scrollartelo di dosso, nessuno verrà a celebrarti con frizzi e lazzi. L’unico tuo premio sarà un sospiro di sollievo. Profondo. La squadra di Paolo Moretti ha fatto di tutto per meritarsi un pomeriggio di sofferenza, per guadagnarsi una partita da giocare con il coltello tra i denti, pena la sopravvivenza. Nella mente passano occasioni sprecate (il match di Pesaro è in prima fila e ancora brucia), prestazioni deludenti, crolli improvvisi, mediocrità diffusa.
Scuse ce ne sono a bizzeffe nel verbale della stagione, ogni errore – prima societario, poi di campo – è stato sviscerato fino ai minimi termini, ogni difficoltà più o meno giustificabile è stata annotata. Bene: ora manca il punto e si sente anche l’esigenza di andare a capo. Da oggi si deve tirare una riga sul passato e favorire la concentrazione sul presente.
L’onere di cui sopra diventa collettivo: concerne chi andrà in campo e chi siederà sugli spalti. Wayns e compagni hanno passato una settimana tra le porte serrate di Masnago e dovranno dare un occhio alla classifica prima di uscire dallo spogliatoio (Varese punti 14, Capo d’Orlando 12, ultima) e poi buttarsi sul parquet con la voglia di mettere fine alle proprie disgrazie. Non sarà facile, ma nemmeno impossibile: Capo d’Orlando ha solo un umore migliore (due vittorie nelle ultime tre partite contro tre sconfitte in fila) e una storia più incline a questo tipo d’incontri, sebbene gli attori in scena – ovunque nel basket attuale – recitino sul palco senza avere minima idea del passato. I biancorossi si giocheranno la freschezza di Chris Wright (un buon giocatore, non il Messia), sperando in quello in cui sperano tutte le squadre di pallacanestro: che un playmaker vero, non un surrogato messo lì solo perché basso, le faccia svoltare. Tirare in mezzo il pubblico non significa assecondare pulsioni di trita retorica. È che l’appoggio dei tifosi oggi sarà indispensabile e ci vorranno cuore, entusiasmo e tanta pazienza: ci si deve salvare tutti insieme.