Nella vita tutti attraversiamo dei momenti di lutto. Ogni perdita, reale o simbolica, ci porta a vivere un periodo più o meno lungo di tristezza, malinconia, rabbia, senso di colpa e infine accettazione. Non mi piace molto parlare di elaborazione del lutto, perché temo ci possa portare a credere che esiste un metodo applicabile ad ogni lutto e che se siamo molto bravi possiamo elaborare tutto molto in fretta e accettare tutto.
E la fretta, quando siamo immersi in un dolore profondo che ci sembra di non poter tollerare, rischia solo di portarci a congelare e poi nascondere il nostro sentire, forse a raccontarci di aver accettato la morte di una persona cara, quando questo in realtà non è avvenuto a livello emotivo. E stare su un piano emotivo differente dal piano mentale ci porta a vivere una situazione di non equilibrio che alla lunga ci porta a sentire che non siamo noi stessi.
Ho usato la parola perdita, perché questo è quello che sentiamo nel lutto: aver perso per sempre qualcuno o qualcosa. Ma perdiamo davvero qualcosa che abbiamo posseduto? Possiamo continuare a conservarlo dentro di noi, in uno spazio simbolico che arricchisce il nostro essere. Alcune cose non possono tornare, la realtà ed il nostro mondo si modificano e dobbiamo accettare questo mondo nuovo, muoverci in esso continuando a credere che potremo ancora provare gioia, serenità, voglia di fare, anche se questo non cancellerà il dolore che abbiamo provato e che tornerà a farsi sentire.
Credo che la prima fase del nostro lutto consista nel lasciare al dolore lo spazio e il tempo di manifestarsi, attraverso tutte le sue forme, che vanno dal pianto alla rabbia, dal sentirsi immobili al portarci a consumare momenti di vita molto rapidi, che non lasciano quasi traccia nel nostro vissuto più profondo.
Non accettiamo la morte di una persona cara, accettiamo il nostro soffrire per la realtà che stiamo vivendo. Siamo impotenti di fronte alla morte, è questo lo stato più duro da attraversare. Come dire a una madre che perde un figlio che la vita va avanti? Non si può. Ma si può accompagnarla nelle sabbie mobili dell’ impotenza e dare dignità al suo profondo dolore e alla sua incapacità di accettare la sua perdita. Il lutto non è una malattia ma uno stato interiore.
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