Cosa può dire di interessante un giocatore appena arrivato in un posto di cui probabilmente ignorava l’esistenza fino a poco tempo prima di arrivare? Quali parole può usare per descrivere la propria esperienza a parte “amenità” del calibro di «cercherò di dare il meglio per la mia squadra» o «sono molto contento che Varese mi abbia scelto»? Rispondiamo subito: nulla. Ed è anche giusto e normale che sia così. Ovidijus Varanauskas, 24 anni, nuovo playmaker lituano della Pallacanestro Varese, ci dà – per
una volta – l’opportunità di fare un’intervista diversa. La sua carta d’identità segna la stessa bandiera di coloro che, nella serata di mercoledì, negli stessi istanti in cui Varese era in campo contro Legnano hanno tolto agli azzurri di Simone Pianigiani il sogno di una medaglia europea. L’occasione è allora d’oro per parlare di basket visto da una prospettiva che a questi lidi sfugge ai più: chi è nato e cresciuto in Lituania non vive questo sport come il vostro vicino di casa. Fidatevi.
L’ho vista, tranquilli. Come potevo perdermela? Con alcuni compagni l’abbiamo registrata e poi guardata dopo il match contro Legnano. Avevamo fatto un patto con il resto della squadra: nessuno avrebbe dovuto parlare della partita e soprattutto del risultato.
Già, è stata una goduria, soprattutto perché ero con una compagnia di italiani…
Beh da noi il basket è la seconda religione di Stato. E la nazionale con i suoi risultati sa essere in grado di far felici davvero le persone. Come capita in questi casi, quindi, tutta la Lituania ha celebrato il trionfo. Per noi, però, arrivare fra le prime quattro in una competizione internazionale non è così inusuale: l’anno scorso siamo stati quarti ai Mondiali, nel 2013 secondi agli Europei, nel 2010 ancora terzi ai Campionati del Mondo.
Le speranze sono grandi, anche perché abbiamo un allenatore come Kazlauskas, che conosce davvero bene il gioco.
Beh, la vostra nazionale ha avuto un inizio davvero convincente: ha battuto la Spagna con una prestazione di rilievo, poi la Germania e Israele negli ottavi. Noi invece siamo partiti piano, come al solito, perché siamo abituati a entrare in forma progressivamente e a finire i tornei con il botto. Ci si aspettava un match bello, equilibrato e combattuto e così effettivamente è stato.
Conosco molto bene Jonas Valanciunas, siamo cresciuti insieme: eravamo compagni di squadra nelle giovanili a Vilnius e abbiamo anche vinto un campionato. Ogni estate, quando finisce la sua stagione Nba, ci incontriamo e passo parte delle vacanze con lui. Crescendo diventa sempre più importante stare vicino ai tuoi vecchi amici.
Lo sport principale per distacco e, ribadisco, una vera e propria religione per tutti. Andiamo pazzi per il basket. Vorrei fare una descrizione migliore, ma l’unica cosa che mi viene da dire è che da noi la pallacanestro è tutto, letteralmente tutto.
Un sogno che spero prima o poi continui, visto che ho fatto parte delle selezioni giovanili, dall’under 13 all’under 20. Noi lituani, fin da piccoli, percepiamo la nostra nazionale di basket come se fosse un’autorità dello Stato: i bambini crescono con l’obbiettivo un giorno di farne parte, sognano di giocare partite trasmesse in televisione, vedono la nostra rappresentativa vincere e riempiono le palestre per immitarne le gesta. I risultati, in questo senso, aiutano molto.
Il giocatore più forte della nostra storia, il talento più grande, di sicuro la persona lituana più importante di sempre.
Ancora più di Sabonis a me piaceva Sarunas Marciulonis, per la sua tecnica e per la potenza. Giocò bene nella Nba degli anni novanta.
Prima della partita devo dire che ero proprio affamato di una partita vera. Conosco ancora poco di ciò che mi sta intorno, dell’allenatore e dei compagni: l’altra sera sono entrato in campo e ho cercato quindi di farmi guidare dall’istinto, di mostrare al pubblico come gioca un lituano. Il mio obbiettivo è stato quello che poi avrò nel resto della stagione: dare alla squadra tutta la mia energia e la mia voglia di vincere.
Penso che mi assicuri parecchi vantaggi, non fosse altro perché passo le mie estati continuando a giocare. Si tratta di una disciplina differente dalla pallacanestro classica, con regole molto diverse: il ritmo è più veloce, per esempio, perché in ogni azione ci sono solo dieci secondi per andare al tiro. Questo comporta la necessità di affinare le proprie abilità tecniche ed è normale risentirne positivamente nel resto della stagione. Il basket di strada, insomma, mi serve eccome.
Andare in contropiede, senza dubbio.