Adriano Ferreira Pinto, ala di 33 anni, è ormai un giocatore del Varese. La società del presidente Antonio Rosati spara un colpo che era nell’aria da tempo. L’accordo con il ds nerazzurro Marino era già stato raggiunto da giorni (ottimi i rapporti tra i due club), restava da limare la distanza tra la volontà del giocatore, che chiedeva un anno e mezzo di contratto, e quella della società: ingaggio fino
al termini di questa annata e poi, in base ai risultati, opzione per la conferma. L’accordo c’è stato, la firma è imminente: il brasiliano dovrebbe rimanere legato al club biancorosso anche per il campionato 2013/2014.Quest’anno Ferreira Pinto era fuori dalle rotazioni di Colantuono: integro fisicamente, manca di ritmo partita. Se ritrova gamba e fiducia, può fare la differenza. Castori, che lo ha lanciato, scommette a occhi chiusi su di lui per sostituire Nadarevic.
Se sta bene è un’ala destra coi fiocchi: in nerazzurro ha attraversato più ere tecniche (Colantuono, Delneri, Mutti, ancora Colantuono: feeling mancato solo con Conte) e firmato parecchi gol pesanti. La fame, quella non gli è mai mancata: la racconta nell’autobiografia benefica, intitolata “Volevo solo giocare a calcio”.
La sua storia è una favola, dalla povertà alla felicità. Come Nadarevic, viene dal nulla: non la guerra, ma la povertà è il suo marchio originale. Famiglia poverissima, presto orfano di padre, per vivere da ragazzino fa l’operaio in una fabbrica di mattoni e raccoglie pomodori. Scuola, poca: è più importante procurarsi il desco.
Poi trova la via maestra nel pallone. Comincia quando tanti smettono: a vent’anni, per hobby, in una squadra di serie C vicino a San Paolo, l’União São João. Da lì, il destino gli restituisce tutto: prima tappa in Europa allo Standard Liegi, da dove fugge un po’ per saudade e un po’ per problemi di lingua.
Dà un dvd a due amici brasiliani che giocano nel Lanciano, Mezavilla e Ribeiro, il club rossonero gli offre un test, l’esito lo ricorda Castori: «Lo vidi la prima volta e dissi alla società: prendetelo».
Sbarca così nella profonda provincia italiana: è il 2001, a Lanciano trova un mentore (Castori medesimo, che lo trasforma da centravanti ad ala) e pure l’amore (Marianna, sposata nel 2009 in una chiesetta della campagna abruzzese: semplicità chiama semplicità).
Va al Perugia con Colantuono, poi al Cesena dove ritrova Castori: qui esplode definitivamente. Lo vuole il Bologna, ma sceglie Bergamo e lo stesso Colantuono. Chi lo conosce lo descrive come un pezzo di pane: oggi, sposato e padre di un pargolo di pochi mesi, ripete che il suo motto è «non smettere mai di sognare, e neanche di sacrificarsi: solo così si può realizzare qualcosa di bello».
a.confalonieri
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