L’avvocato varesino per Ustica «Abbiamo cercato la verità»

VARESE Alle 20.59 e 45 secondi del 27 giugno 1980 il DC9 Itavia partito con due ore di ritardo dall’aeroporto Marconi di Bologna e diretto all’aeroporto Punta Raisi di Palermo scompare dai radar. Con il velivolo scompaiono nel nulla le 81 persone che erano a bordo, è l’inizio di una pagina funesta «per le istituzioni italiane», commenta Alessandro Zanzi, avvocato varesino, difensore dei familiari di un giovane di 26 anni che era a bordo di quell’aereo e sulla cui morte per 33 anni è calato il mistero tanto da spingere molti a parlare di omertà di Stato. «Quello che più ha lasciato perplessi, e forse anche qualcosa di più, i familiari, ma anche i legali che li rappresentavano, è stato proprio l’atteggiamento dello Stato – commenta Zanzi – Quando è lo Stato, o una parte di esso, che ti impedisce in qualche modo di avere giustizia la situazione più essere definita brutale». Zanzi mantiene il massimo riserbo sull’identità dei suoi assistiti: «La loro azione è sempre stata finalizzata ad un solo scopo: sapere la verità sull’accaduto e ottenere giustizia per la morte di quel figlio e di quel fratello che è per loro un dolore mai superato – spiega il legale – Per altro non è ancora finita. Dopo l’ultima sentenza della Cassazione gli atti torneranno al tribunale di Palermo per la definizione del risarcimenti. Per altro ho letto in questi giorni quanto si è detto sulla sentenza in questione; devo sottolineare un fatto: quella dell’altro ieri non è la prima verità sulla strage. Il punto di svolta arrivò nel 1999». Quando il giudice istruttore di Palermo Rosario Priore ipotizzò, in un’ordinanza-sentenza, uno scenario di guerra che portò all’abbattimento del DC9. Incrociando le perizie agli atti, il giudice parlò di una possibile collisione

con un missile. Altro punto fondamentale nella vicenda: la sentenza del 2003 con la quale la Cassazione condannò i ministeri di Difesa, Trasporti e Interno a risarcire la compagnia aerea Itavia per un ammontare di 108milioni di euro per non aver saputo «garantire la sicurezza all’aerovia sulla quale viaggiava il DC9». «Il solco tracciato da quella sentenza noi l’abbiamo seguito – spiega Zanzi – L’incredibile fu che quando ottenemme la sentenza di condanna al risarcimento dei danni anche per i familiari delle vittime vennero riconosciute cifre ridicole». Nel caso specifico parliamo di 20 mila euro per una sorella privata del giovane congiunto, e 80 mila euro ciascuno a dei genitori privati del figlio. «Proprio perché ai miei assistiti non è mai interessato il lato economico della vicenda il risarcimento fu accettato. A noi interessava che venisse fatta giustizia e che si svelasse la verità sulla strage. Paradossalmente furono i ministeri a ricorrere in Appello contestando la sentenza». Ed è questo l’atteggiamento sconfortante assunto dalle istituzioni di cui si parlava: «Noi crediamo che le istituzioni debbano agire a tutela degli interessi dei cittadini – aggiunge Zanzi – E quanto accaduto lascia l’amaro in bocca». In 33 anni di battaglie nel nome e per conto delle vittime; di familiari pronti a lottare sino in fondo per sapere, per avere giustizia, si sarebbe sfruttato ogni appiglio per rallentare il corso della giustizia: i ministeri hanno impugnato ogni sentenza, hanno ricorso in ogni occasione. E qualcuno non è riuscito a sapere: «Nel frattempo il padre del ragazzo del cui caso io mi sono occupato è morto – conclude Zanzi – Oggi c’è una verità sancita sulla morte di suo figlio. Ma lui non è qui per sapere che quel figlio ha finalmente ottenuto giustizia». S. Car.

s.bartolini

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