Omicidio D’Aleo, altri racconti choc «Mi dissero: paga o fai la sua fine»

BUSTO ARSIZIO «Mi chiesero 100 mila euro, subito. Ma io quei soldi non li avevo. Mi dissero che se non pagavo mi facevano fare la stessa fine di D’Aleo». Nuova udienza, ieri, del processo a carico di Emanuele Italiano, accusato di aver ucciso assieme a Rosario Vizzini e Fabio Nicastro il picciotto Salvatore D’Aleo. I tre, uomini di spicco di Cosa Nostra a Busto, affiliati alla famiglia Rinzivillo, hanno taglieggiato per anni gli imprenditori gelesi della zona di Busto Arsizio.Ieri sono stati interrogati alcuni degli imprenditori che pagarono il pizzo. Uno di questi, ora collaboratore di giustizia e sotto protezione, ha raccontato di aver pagato 650 mila euro, tra il 2003 e il 2006, a Rosario Vizzini. «Venivano a prendermi tutti i giorni – ha raccontato l’uomo – continuavano a chiedermi soldi. Ad un certo punto vollero 130 mila euro di cambiali per comprare una ditta». Il collaboratore di giustizia racconta anche della sera in cui decise di denunciare gli uomini della cosca. «Eravamo nel mio studio. Salvatore Fiorito e uno dei suoi figli mi massacrarono di botte – ha raccontato l’uomo in aula -. Seduti a guardarli c’erano l’altro figlio di Fiorito e Emanuele Italiano. Dissero che volevano farmi fuori quel giorno. Mi salvai solo perché arrivò un uomo con cui dovevamo incontrarci per un business che stava

a cuore a loro». In serata gli fu chiesto di uscire di casa. Lui si rifiutò e chiamò i carabinieri, che portarono via tutta la famiglia. Massimo Incorvaia, ora in carcere per vecchie questioni di armi, alla fine degli anni ’90 aveva una grossa azienda edile. Tra i 6 e gli 8 milioni di euro di fatturato annuo e 700 dipendenti. Lo racconta lui stesso in aula. Anche a lui, come a tutti gli imprenditori gelesi, gli uomini della famiglia andarono a chiedere soldi. Prima piccole cifre, poi sempre di più. Nel 2008 gli chiesero 100 mila euro. Non avendoli lo minacciarono di uccidergli il cugino. E lui pagò. 30 mila euro a Vizzini. 30 mila al boss Gino Rinzivillo. Inconrvaia fu anche accusato di aver fatto da intermediario tra i mafiosi e gli altri imprenditori gelesi. «Mi dissero che dovevo dargli 40 mila euro subito. Altrimenti mi facevano fare la fine di D’Aleo». A raccontargli dell’assassinio del picciotto, a pochi giorni dalla sua scomparsa, fu proprio Rosario Vizzini. «Mi disse che il vecchio e il drogato (Italiano e Nicastro, ndr) l’avevano lasciato sul ciglio della strada e l’avevano chiamato per farlo sparire». In tanti, nella comunità gelese, sapevano che D’Aleo era stato fatto sparire da Nicastro e Vizzini. Nessuno, però, ebbe il coraggio di parlare.Tiziano Scolari

f.artina

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