La serata del derby Varese-Milano al Palalbani è stata una poetica della nostalgia. Un passato che, attualmente, appare lontano secoli, quasi mitologico, cavalleresco. Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice nella miseria, insegna Dante. Miseria e nobiltà, la definizione di questa partita coniata da Leo Siegel. Miseria che va e viene, nobiltà che resta.
Ha ragione sempre Siegel quando, in un’intervista su questo giornale di qualche giorno fa, invoca un ipotetico Dio dell’hockey. Come a volergli dire: se esisti, dovresti inventarti qualcosa affinché i Mastini ed il Milano tornino presto in Serie A. Perché il pubblico di martedì sera, sinceramente, ha qualcosa da spartire con la Serie B? Non scherziamo. Questo ricordo del passato ci ha provocato una sorta di nostalgia del presente e del futuro, e anche una discreta dose di tristezza. Una nostalgia che ha fatto diventare amiche anche due tifoserie rivali, che si sono trovate assieme a piangere sul presente ripensando a quel che fu, quando amiche non lo erano di certo. Però sul ghiaccio c’era chi, infischiandosene del passato e dei ricordi, questo derby ha voluto giocarselo fino in fondo, con ogni forza. E ha fatto bene, rompendo il momento idilliaco e restituendo agonismo, cattiveria, voglia di vincere.
Ha vinto il Milano, sotto sotto ce lo saremmo aspettato, però i Mastini hanno lottato da Mastini, fino a quando hanno avuto le forze per farlo. E davanti a questi ragazzi, ci togliamo il cappello. Perché continuano a giocare solo per passione, tenendo alto il nome di Varese tra un giorno di lavoro e l’altro. Che ci piaccia o no, il presente sono loro e meritano tutto il sostegno del mondo. Meritano sostegno perché stanno vivendo una delle stagioni più complesse di sempre, lottando da Mastini al fianco di altri Mastini come Quillici, Merzario e Fiori. E noi varesini, malgrado tutto, li amiamo sempre e questo “malgrado tutto” copre un infinito.