Lo troviamo lì, lo Zio. Appollaiato su quello sgabello un po’ troppo alto, con un pennarello in mano, un paio di Ray-Ban colorati, abbinati ai tattoo, sulla faccia e sotto un cappello tipo Fedora in testa.
«Bella Zio, come stai?», un abbraccio alle ragazzine e batti cinque ai ragazzini – dipende dalle circostanze, è chiaro -, un autografo frettoloso a marchiare indelebilmente “Il Bello Di Essere Brutti”, e la foto di rito facendo il gesto delle corna rivolte al flash, da rocker vecchio stampo.
Questa è la ripetizione alienante e ipnotica della catena di montaggio del music business chiamata J-Ax.
Già, perchè lo Zio (come lo chiamano i suoi fans più giovani) ieri pomeriggio era alla Casa del Disco di Varese per il classico firma copie di ogni nuova uscita musicale. In questo caso si tratta della nuova delux edition dell’album uscito il 27 gennaio scorso, insomma, quasi un anno fa.
Ma, facciamo i seri, a pochi o a nessuno di quelle quasi duemila persone arrivate lì a salutarlo importa nulla di tutto ciò. L’importante è portare a casa un saluto, una firma, una foto: solo quello. E non importa se lo stremato Ax ti concede solo pochi fuggevoli secondi, e se tu per vederlo hai dovuto fare una coda infernale, manco ti trovassi sotto il sole, imbottigliato in una folle e drammatica fila al casello di Melegnano il 15 agosto. Ops. E anche a noi, che siamo lì, poco interessa di tutto ciò, di tutto il disagio di questi stucchevoli firma copie.
Perché il signorino J-Ax, basta vederlo, che ti fa prendere bene, ti fa venire in mente praticamente centouno ricordi di infanzia. I ricordi, quelli da pelle d’oca e quelli da lacrime agli occhi, che le sue canzoni hanno cantato; che le sue canzone hanno accompagnato. Alla fine Ax è così: un highlander del rap (prima) e del pop-rock (poi) che ci unisce un po’ tutti.
Da chi oggi si ritrova ad avere una quarantina d’anni oppure ne ha otto o nove. Ieri alla casa del disco c’era un po’ di tutto: dalla mamma che accompagna la figlia in braccio, allo studente delle scuole superiori. Ah, siamo chiari: le più scatenate sono le mamme, anche loro fan di Ax ai tempi degli Articolo 31. «Mi ricordo di te al Plastic» gli dice una tipa. E lui: «Zia, mi fai sentire vecchio, saranno passati una cosa tipo ventidue anni».
Poi arriva un papà – grandissimo il signore, lo ammettiamo – con il cellulare in una mano e la copia nell’altra. Si ferma davanti alla J-Ascia, si fa firmare l’album poi passa gli passa il telefono per far parlare la figlia con il suo cantante preferito. «Tuo padre è un grande, Clementina», gli urla lui nella cornetta, con quel suo accento da milanese imbruttito che abbiamo imparato ad amare.
Ma mica è finita qui: no. C’è anche chi, dopo l’autografo gli dice: «Zio, ma perché non organizziamo un aperitivo?».
Lì Ax ride come un pazzo ma si trova costretto a declinare l’invito alcolico: «Zio, se iniziamo con gli aperitivi non ne usciamo più: finisce che smetto di fare dischi e mi trasferisco definitivamente al bar».
J-Ax, sulla testa, dietro il collo, ha tatuato un disegno tipo meccanico, che ieri lo rendeva più simile ad un automa che a un uomo.
La catena di montaggio Ax, però, è la nostra preferita: ci ha toccato il cuore con le sue canzoni, le sue battute da nerd, i suoi sorrisi. Lunga vita ad Ax, lunga vita allo Zio d’Italia.