La storia del Varese concentrata in un giorno

Fernando Di Cristofaro commenta la trasferta biancorossa all’Olimpico di Roma

Due treni alta velocità, uno soppresso all’ultimo secondo e l’altro perso. Un paio di panini stopposi mangiati correndo manco fossimo Usain Bolt in una finale olimpica, tra la stazione Termini e l’Olimpico. Il legno del guerriero Martino Borghese. Quattro viaggi stipati in metropolitana, stretti come animali in una promiscuità indicibile e inconcepibile di umanità. Una ventina di tifosi biancorossi increduli, eccitati, esaltati, incontrati per strada. Michele Lo Nero e Nicola Laurenza felici come bimbi davanti ad un albero di Natale zeppo di regali.

La leggenda vivente Neto Pereira con gli occhi lucidi mentre ci racconta, meno di mezz’ora dopo il fischio finale, la sua prima volta in quello stadio. Priscilla Cinquantasette e un altro taxi di cui ora ignoro il nome. Un pensiero stupendo subito dopo il calcio d’inizio per Spartaco Landini: torna presto. Il Foro Italico. Super Bruno Petkovic che corre, primo tra tutti, ad abbracciare una curva che, a guardarla dalla tribuna stampa, fa scendere una lacrima tanto è commovente, unica, epica, umana, irripetibile. Il Varese che racconta tutta la dignità di un popolo portando quella maglia sulle spalle, a testa alta, sempre.

Tutto questo è stato Lazio-Varese, perché la gioia che tutti noi abbiamo provato non la saprei spiegare altrimenti. Non saprei raccontare, in modo diverso, cosa si prova dentro a vedere quello sbarbato del nostro Scapinello entrare in campo. A vedere capitan Neto toccare quel pallone con un’eleganza e una signorilità figlie di un calcio d’altri tempi. A vedere trecento corsari della Nord (e non) cantare, saltare e dimostrare quanto possa essere semplice tifare. Quanto possa essere grande mostrare il proprio cuore, aprirlo e gridarlo al mondo intero in un coro che fa: «Va-re-se».

Tutto questo è Lazio-Varese. È un viaggio andata e ritorno – tutto in un giorno – nella storia sportiva di una città, la nostra città. È la rivincita morale dei signori nessuno. Perché nessuno eravamo, nessuno siamo e nessuno rimarremo. Ma dentro portiamo l’orgoglio di chi non si piega alla sorte, perché ci prova sempre e comunque.

Lazio-Varese è 32 anni di attesa? No, è molto di più. E chissà se i tifosi della Lazio impegnati a sfondarsi la gola, dalla prima all’ultima corda vocale, per gorgogliare convulsamente solo insulti a Lotito, si sono accorti del cuore di questo piccolo grande Varese. Del cuore di chi non ha nulla, e invece ha tutto. Perché a quelli come noi basta un elenco disordinato di cose successe fuori dal campo per spiegare una partita. Tanto lo sappiamo tutti: raccontare l’irrazionalità dell’amore è impossibile.n Fernando Di Cristofaro