Era mezzanotte e venti, di una domenica come un’altra. La mezzanotte e venti di una domenica che non sarà mai più come un’altra. Perché, a quell’ora, in quel momento, sotto le stelle di una notte di mezza estate come questa si è spento .
E noi, tutti noi, sappiamo benissimo cosa stava sognando, prima di esalare l’ultimo respiro, Lario: al Varese. Quel Varese di cui era un amante, o almeno così si definiva: «Io sono un amante, non un fanatico. Sono quasi ottant’anni che ho una storia d’amore con il Varese, non due o tre giorni, eppure ho un nome comasco, Lario. Io stavo sempre lì, dietro la rete, avanti e indietro. Non mi è mai piaciuto mischiarmi con gli altri gruppetti organizzati. La mia passione è nata quando avevo 13 anni, grazie a mia madre. Ho fatto di tutto per il Varese. Ho visto costruire lo stadio, ho tifato, scarrozzato i giocatori da tutte le parti, mi è mancato solo fare il calciatore, ma io con i piedi non ci ho mai saputo molto fare. Lasciavo fare ai ragazzi, gente tosta, come Anastasi». Perché quei colori, quella maglia, quella storia erano i suoi: i suoi colori, la sua maglia, la sua storia. E, questo 17 di luglio, rimarrà scritto nella nostra di storia, perché un pezzo (un bel pezzo) della vita del Varese è volato via. Via, come sono volati via, ieri mattina (alle 9) i funerali di Lario. Celebrati nel posto dove risiedeva, il Molina. Già, risiedeva, perché la sua casa – quella che più amava, quella in cui tornava sempre – era il Franco Ossola. Più di ottant’anni di passione, sono stati la sua grande partita. Una partita che iniziava, come ogni anno, occhi negli occhi con della Casa Del Disco. Come fosse un diversamente fischio dell’arbitro: abbonarsi per seguire il suo Varese. E il destino – strano il destino, a volte – ha voluto che proprio i suoi funerali del figlio più amato del Varese, fossero celebrati nel giorno dell’apertura della campagna abbonamenti. Fischio d’inizio, dicevamo.
«Quando scendevi in campo, e ti capitava di non farcela, bastava solamente girare la testa e lo trovavi lì, dietro la rete, a darti la forza. Quella forza che ti fa dare tutto, quella forza che ora non ci sarà più», dice , il grande numero dieci del Varese, con il suo accento Brasiliano. Un accento che, oggi, ha una sfumatura di saudade di più. «In questo momento provo un enorme dolore, un’enorme mancanza – continua il Capitano -. Porterò sempre con me il suo ricordo, il suo sorriso». Lario era sempre lì, ad ogni partita dei biancorossi. Dietro alla rete sotto la tribuna, dove non li vedi i giocatori,
ma li senti. Dove non li vedi i giocatori, ma li vivi. Se lo ricorda bene , che al fianco di Lario (non) seguiva la squadra correre in campo: «Stavamo sempre assieme a guardare il Varese quando giocava in casa, ma per motivi diversi. Lui, si metteva lì, dietro la rete dove non serve guardare le partite, ma dove le senti e basta: Lario non vedeva, e per seguire la sua squadra doveva ascoltarla. Io, invece, ero lì proprio per non guardarla, perché per me guardare il Varese è sempre una sofferenza: meglio intuirlo. Ora sarà sulla tribuna più alta a seguire le partite: seduto al fianco di Peo Maroso».
Lo stesso intuito, la stessa genialità, che ci racconta il fondatore del Varese : «Se penso a Lario – anzi, al Mambro, come lo chiamavo io -, penso allo stadio del Chievo. Non a quello in cui gioca ora, ma quello storico. Ricordo che una volta andammo a seguire una trasferta dei biancorossi a Verona. Quello era un Chievo che aveva appena iniziato la sua scalata alla Serie A e, giustamente, giocava nel suo stadio. Che poi uno stadio non era, sembrava un campetto dell’oratorio. Arrivati lì, c’era già il Mambro pronto con i biglietti per noi ragazzotti scalmanati. Inizia la partita, ricordo che a un certo punto i padroni di casa temporeggiavano in campo e che la palla aveva scavalcato la recinzione ed era andata a finire in un rigagnolo che scorre lì a fianco. Nessuno andava a prenderla, per perdere tempo, così Lario ha acciuffato un retino e si è messo a ripescare il pallone. Una scena epica, visto che aveva già una certa età. Lario è stato davvero un grande del Varese, anche nei piccoli gesti». Piccoli gesti, vissuti in un campo di calcio, anzi per andare in un campo di calcio, ci dice il tifoso biancorosso : «Lo ricordo che veniva assieme alla moglie, con noi, a tutte le trasferte. Era il 2004, quando lo conobbi. Lui e sua moglie avevano i primi due posti sul nostro pullman: sempre. Lario è stato un vero grande tifoso: sempre informa, anche quando camminava con il girello; la battuta provocatoria non gli mancava mai. Non le mandava a dire, lui». L’ultimo ricordo lo riserviamo all’ex mister biancorosso, . «Lario rappresenta il Varese che più amo: il Varese pane e salame. Lui è un’ icona del Varese, e sapere che non c’è più per me è un dolore. Mi torna alla mente, proprio ora, quando sono andato al Molina a trovarlo. Di fronte a me non avevo un anziano, ma un ragazzino pieno di vita, pronto a darmi dritte, consigli e incoraggiamenti per guidare la squadra alla salvezza: era saggio, Lario».