Uno spirito gentile, sempre ribelle, mai innocuo. La riservatezza di è proverbiale tanto quanto la sua profondità artistica. Ed è così che lo incontreremo anche mercoledì 5, alle 20.30 nella Sala Teatro del LAC (biglietti da 27,50 a 77 franchi svizzeri) in Piazza Bernardino Luini 6 a Lugano. Con un programma che lo ritrae in pieno, che lo cannibalizza da anni e che ancora oggi fa ricordare al suo pubblico la frase con la quale Arthur Rubinstein sigillò un’epoca in occasione della vincita del Maestro, all’età di diciotto anni, del concorso Chopin a Varsavia: «Questo giovane suona meglio di tutti noi».
Suona Arnold Schoenberg, Pollini, al Lac di Lugano. I “Sei piccoli pezzi” op. 19 racchiusi, nel 1975, in quel disco della Deutsche Grammophon che incorniciò la sua puntigliosità pianistica in un riverbero di colori fino ad allora sconosciuti. Suona Fryderyc Chopin – due Notturni op. 27, la Ballata n. 4 in fa minore op. 52, la Berceuse in re bemolle maggiore op. 57 e lo Scherzo in si minore op. 20 – per aprire nuovamente le porte al futuro in quel tentativo di coniugare la poesia al dramma e al lamento.
/>Suona, infine, il Secondo Libro dei Preludi di Claude Debussy, autore con il quale Pollini dialoga in un misto di gioia e tensione. Con il desiderio di concepire l’astrazione come metafora della vita. È una bomba sempre innescata, questo pianista nato a Milano nel 1942, definito “enfant prodige prodigioso” con un debutto alla Scala a sedici anni nella “Fantasia per pianoforte e strumenti a corda” di Giorgio Federico Ghedini. Perché la contemporaneità, in Pollini, esplode in lontananza come una deflagrazione sorda che sale lentamente in superficie e conquista il cielo. “Classici moderni” (come Schoenberg ma anche Igor Stravinsky) e “moderni classici” (come Pierre Boulez o Luigi Nono) sono le definizioni che Pollini – continuamente chiuso nell’eterna riflessione della bellezza – dà alla mutevolezza della musica. Una metamorfosi che il pubblico, secondo l’idea del pianista, è tenuto a conoscere e a comprendere.
Non se ne può fare a meno perché è questo il destino, proprio come accade nelle Sonate per pianoforte di Ludwig van Beethoven che l’artista milanese cesella fino al midollo. Il Pollini che si lascia attraversare dalla musica e che, nello stesso tempo la attraversa con dolore e fatica donandoci solo la sua purezza, è anche quello che potrete scoprire leggendo il bel volume di Felice Toddi edito da Zecchini Editore: “Dino Ciani, percorsi interrotti”.
Dove la definizione che Pollini dà di Ciani, “pianista-musicista” perché “dotato di doti musicali ancora superiori” a quelle del semplice virtuoso, vale anche per sé stesso. Doti esplorate a Ranco, sul Lago Maggiore, dove nella casa di Ciani proprio Maurizio si ritrovava per serate goliardiche suonando, su un mezzacoda Schultze e Pollman, l’amato Giuseppe Verdi o i Lieder di Franz Schubert. Ciani con voce da tenore e Maurizio con quella da baritono, persi sulla tastiera come gatti innamorati.