Ricordo sempre una frase di John Maynard Keynes nel suo Trattato sulla probabilità del 1921 che diceva «L’inevitabile non accade mai, l’inatteso sempre». Oggi – lacerato dalle lacrime del Poz – convivono in me rabbia e tristezza. E non so tra le due chi riuscirà a spuntarla. Forse la seconda. È tanto che non scrivo di basket. E se lo faccio, lo so, rischio di sembrare schiavo dei ricordi. Dei miei, dei vostri ricordi per l’anno magico
e meraviglioso dello scudetto.Ma lo dico, devo dirlo: i ragazzi, quei “ ragazzi del 1999” lottavano per la squadra, per la maglia, per Varese. Le rare sconfitte erano un dolore interno e profondo per Poz, Andrea, Cecco, Sandro, Jack, Veljko, Daniel.Era come se da quelle ferite sanguinasse un’intera città. Oggi no. Le sconfitte hanno aperto squarci nel cuore di Gianmarco e dei tifosi e appena un graffio in gran parte dei giocatori. Si perde anche per questo.
«Puoi avere tutto il talento del mondo, ma se non hai cuore, non ho bisogno che tu scenda in campo al mio fianco»: l’ha detto tempo fa Allen Iverson. Ecco, è questo il punto. Voi avete visto una squadra? Un gruppo unito? Io no. Ho visto solo sprazzi di buon gioco al guinzaglio di discrete individualità prive di cuore: si vince, bene. Si perde, sticazzi (come dicono a Roma). E perdonate la brusca schiettezza.
Io ho un sogno: vorrei non aspettare un’altra vita per commuovermi per uno scudetto a Varese. Vorrei leggere presto nel roster anche nomi “nostri”: Bardelli, Martignoni, Rossi, Cappellini, o chi volete voi, purché arrivino dal vivaio, o dai campi della provincia, pieni di giovani talenti, ne sono convinto. E vorrei anche giocatori che vengono da Roma o Capo d’Orlando, da Pesaro o Caserta, da Trento o Reggio Emilia portando in valigia e nell’anima rispetto per questa maglia, per la sua storia leggendaria. E non mi frega niente se vengono da Los Angeles o Chattanooga, Chicago o San Antonio: io esigo rispetto per Va-re-se. Chiedo troppo?
Kareem Abdul Jabbar disse una volta: «Chi dice di potermi battere non sempre si sbaglia, chi dice che non ci metto l’anima si sbaglia di grosso». Capite? Kareem! E se non sei Kareem devi buttarci ancora più anima, più grinta, più passione. Devi annegare nell’orgoglio, si chiama così, no?
E vorrei, quanto lo vorrei, e so che accadrà un giorno, vedere il Poz ancora tra noi. Più esperto e saggio. E non risucchiato nel vortice di velenose emozioni, accecato dall’adrenalina, sotto choc a causa delle reiterate cazzate dei suoi giocatori. Gli stoici dicevano: se vuoi essere ricco, sii povero di desideri. Ma questo è un desiderio che voglio concedermi. Ciao Poz, don’t forget your promised land.