La stella di Pino Daniele: «Nelle sue corde c’era l’antidoto alla malinconia»

Indimenticabile - L’accento inconfondibile e una chitarra che “parlava”: oggi avrebbe compiuto 61 anni

C’era una strana stella in cielo, 61 anni fa. Una stella che danzava, e brillava intermittente, a ritmo di musica, tra le altre ferme e immobili. Sotto quella è nato . Era il 19 marzo 1955. Poi, ci piace credere che sia stato solo un caso che Pino l’abbia seguita, quella stella. E che il suo bagliore intermittente gli abbia dato il tempo per ogni canzone fatta. Il tempo del blues. Che poi blues (oltre che per le sonorità poco blues di Pino)… blues fino a un certo punto. Blues forse è un termine restrittivo per la sua musica: «To have the blue devils», è il significato di quella parola. Tradotto: ho i diavoli blu.

Il blu è il colore del dolore e della tristezza: quella profonda e senza rimedio. E la musica di Pino – anche nelle sue canzoni più tristi e struggenti – sapeva avere il sorriso stampato sulle corde della sua chitarra. La sua musica un rimedio alla malinconia lo aveva sempre, in ogni nota.
Se lo ricorda bene , che ha portato Pino Daniele a Varese più volte, quel sorriso: «Una persona squisita, questo ricordo. Un ricordo dolce. Mi sembra di sentire ancora ora le sue parole, dette nel suo italiano. Con quella sua voce dall’accento napoletano marcato. Quell’accento che non si può cancellare mai».
Quell’accento che ha portato la sua città, Napoli, in giro per l’Italia, per il mondo. Quell’accento che ha raccontato i pregi e i difetti della sua gente. Pregi e difetti che, poi, sono quelli di tutti. «Una delle mie canzoni preferite, non di quelle di Pino, eh, ma di sempre, è la sua “Napule è”: un pezzo straordinario» confida Miguel. E mentre parla, a noi torna in mente quel mandolino tanto malinconico. Quella melodia di paure e speranze. Di colori e di voci di bambini. Di quel contorto dedalo di stretti vicoli lastricati di neri basoli del Vesuvio, che profumano di vita e di mare. E che purtroppo sono «una carta sporca a cui nessuno importa».

Perché infondo basta nominarlo, Pino, che i ricordi tornano in mente, salgono su come la marea che bagna il porto di Napoli. «Il ricordo più nitido che ho di Pino – continua commosso Miguel – è semplice: lui, a ogni concerto chiedeva sempre di avere una bottiglia di Brunello di Montalcino in camerino. Penso che fosse il suo vino preferito, che poi è pure uno di quelli che io adoro… quindi era bello poter brindare con lui». E non è un caso che il vino preferito di Pino Daniele sia stato proprio quello, perché oltre alla sua Napoli il cantautore ha portato nel cuore anche la Toscana. Terra in cui ha scelto di vivere per molti anni. «Con Pino mi lega l’amore per la Toscana, e l’amore per la musica, ovviamente. Come per la carriera di ogni artista, costellata di alti e bassi, quella di Pino è stata così – continua Dell’Acqua – Nei suoi momenti migliori ha saputo fare canzoni stupende: da brividi, da pelle d’oca. La cosa più triste ora, se ci penso, è che non potremo più sentire la sua voce dal vivo, e questo mi fa un po’ male».

Forse – diciamo forse – domani potrebbe fare un po’ meno male. Perché chi ha amato Pino e la sua musica, alzerà gli occhi al cielo – mentre ascolta uscire dallo stereo la sua inimitabile voce – come a cercarlo con lo sguardo. Pino sarà lì, sicuramente, su quella stella ballerina, con un microfono, la sua chitarra, il suo blues.