Dal momento più alto a quello più basso. Da stare a due passi dal cielo, fino a finire sei piedi sotto terra. Tutto questo solo per poi rinascere. Rinascere nel segno del Varese. Nel segno del suo attaccante più grande: Pietro Anastasi.
Emozione. Sarà indescrivibile tornare su quell’erba dopo tutti questi anni.
Ogni calcio d’inizio è diverso dall’altro, e questo non farà eccezione.
Perché da tifoso del Varese non posso vedere questa squadra in Eccellenza. Questa categoria è uno schiaffo in faccia a chi ama questa maglia, e a chi l’ha indossata in passato.
Non è il nostro posto questo. Noi dovremmo stare in Serie A. Invece, per colpa di alcuni dirigenti che hanno messo avanti i loro interessi personali agli interessi della maglia ci ritroviamo qui.
È quello di avere un futuro nel segno del patron Borghi. Uno che ha amato questi colori, come pochi altri.
Con tutti i campioni passati dal Franco Ossola non si potrebbe costruire una squadra da Serie A…
Ha capito bene. Con campioni come Gentile, Bettega, Anastasi, ci si costruisce una Nazionale.
Sì. All’epoca avevo una ventina d’anni e non capii subito quanto valeva quel gol. Ora lo ricordo con un’emozione particolare.
Di riportare in alto l’onore sportivo dell’Italia. Il nostro calcio vive un momento difficile.
Tantissimi. Sicuramente Da Pozzo, che da buon veneto aveva la bestemmia facile. Della Giovanna, che ora non c’è più. Sogliano e il capitano Maroso: lui è stato la vera bandiera del Varese, un grande leader e trascinatore in campo.
La gente che impazzì sugli spalti. La nostra era una squadra da record: girammo la metà della stagione al secondo posto dietro al Milan: 21 punti loro, 19 noi. E…
E poi in casa le vincemmo tutte. Sarebbe come se una provinciale come l’Atalanta oggi non perdesse mai all’Azzurri d’Italia.
Come fu strano per i nostri tifosi il 5-0 alla Juve.
Perché nessuno ci credeva. Quando tornammo a Comerio, alla Casa dell’Atleta, dove il Varese aveva la sede, ricordo che i tifosi ci fermarono al semaforo chiedendoci quanto fosse finita. Quando abbiamo risposto 5-0, loro ci dissero: «ne avete prese tante». Non credevano che avessimo vinto.