Lo stress si manifesta in modo diverso in ciascuno di noi. Nel linguaggio comune assume il senso di tensione, ansia, preoccupazione, senso di malessere diffuso associato a conseguenze negative per l’organismo e per lo stato emotivo e mentale dell’individuo. Ci sono quelli a cui prende allo stomaco, a qualcuno viene il mal di testa, altri avvertono la tachicardia o la tensione muscolare… Certo è che lo stress sembra essere un problema sempre più comune.
Abbiamo, quindi, chiesto al professor, direttore del dipartimento di Salute mentale nell’ospedale di Circolo, di spiegarci i meccanismi che scatenano quello che ormai viene definito il male del nostro secolo.
Lo stress di per sé non dovrebbe avere un significato negativo, anche se ormai nel linguaggio comune ha assunto per tutti una connotazione negativa: per essere più corretti si dovrebbe dire distress. Infatti una condizione di normalità psico-fisica (eustress) richiede la presenza di una certa quantità di stimoli esterni, perché l’assenza totale o il vuoto sono fonte di distress in persone normali ed equilibrate. Infatti quando si parla di stress si indica un malessere più o meno grave dovuto a stimoli negativi. Vale la pena ricordare che anche un eccesso di emozioni per un evento positivo può essere fonte di sofferenza.
L’eccessiva presenza di stimoli esterni (ma anche la loro assenza – basta ricordare che i neonati nelle culle termiche da anni ormai sono accarezzati o stimolati per alcuni momenti durante la giornata perché l’assenza può ritardare lo sviluppo ed essere fonte di gravissimi danni) è tollerata in modo diverso a seconda delle caratteristiche personali.
Da qualche anno si parla molto di resilienza, per indicare la capacità di modificarsi ed adattarsi agli eventi esterni.
Le persone con una minore capacità di adattamento o con una maggiore quantità di emozioni che faticano a metabolizzare nella loro vita quotidiana, sono soggette a soffrire di più di fronte a eventi stressanti, definiti stressors.
Ovviamente una persona che presenta già una maggiore quota di ansia nella sua esperienza esistenziale, reagirà in modo più acuto ad eventi sfavorevoli, che vanno distinti in temporanei oppure continui. La durata dell’evento e la sua intensità possono provocare manifestazioni e reazioni diverse.
Dai dati del 2015 del Centro Nazionale di Epidemiologia risulta che dal 2 al 10% della popolazione generale soffre di questi disturbi, mentre il rapporto maschi/femmine è di 1 a 3.
Il principale sintomo della sindrome generale di adattamento di Selye (che è una reazione psicofisiologica aspecifica agli stressors) è uno stato di allarme, prodotto sia dal nocumento alla persona sia dalla risposta reattiva: quindi l’ansia, con tutti i suoi sintomi psicologici e fisici, costituisce la prima risposta. Poi si avvia una ricerca di adattamento e di resistenza allo stressor; quando fallisce, c’è una sorta di esaurimento psicofisico.
La depressione, clinicamente evidente e significativa, può essere il risultato finale di una mancata riuscita dell’adattamento: quindi la terza fase indicata nella risposta precedente può assumere le caratteristiche cliniche di una depressione. Lo stress emotivo rappresenta uno dei principali fattori di rischio nello sviluppo di malattie neuropsichiatriche.