Questo non è un articolo di giornale, né un commento, né altro. Non ha peso, non ha futuro, si esaurisce semplicemente qui perché è il saluto di tre amici a un compagno di trasferte, a un amico, a un uomo: Giorgio Scapini.
Giorgio per noi è ritrosia, è semplicità, è umiltà, è tenere il muso, è bontà, è incapacità di dire “no”, è un bicchiere di vino con pane e salame da bere d’un fiato in trattoria perché poi c’è la partita (allievi o prima squadra, per lui è uguale: questo fa la differenza), è un pomeriggio di calcio dietro la rete – mai in prima fila, quella se la merita chi pensa di contare davvero – insieme a Ribes che scodinzola ai gol (Ribes porta bene: chi se ne dimentica, se ne accorgerà) e a Mirella che riprende sul cellulare un’azione di Giovio, Lercara, Azzolin e Bordin perché il Varese sono loro.
Giorgio per noi è un fazzoletto bianco strappato su cui c’era scritta a memoria – come fosse arrivata dal cielo, dalla storia e dal cuore – la formazione di un anno fa e anche la prossima, tutta fatta da varesini, ex varesini o varesini nell’anima.
Giorgio per noi è l’unico che ha dedicato la promozione dell’Eccellenza a Maroso.
Giorgio per noi è un animale che si aggira nel prato, sotto i pini, attorno agli stadi dove gioca il Varese perché gli piace soffrire a distanza, visto che troppo vicino morirebbe di crepacuore o verrebbe bruciato da tanta passione. È un coro del Chinetti («Scapini portaci in Europa»), è uno sguardo ai giovani come un ordine paterno perché chi è il papà di Lazaar e Giovio è anche papà del Varese, è un passo leggero travolto dal passo pesante della gelosia, della vanità, del possesso personale, dell’arroganza di chi considera suo tutto quello che tocca, che compra, che brama (invece non lo avrà mai).
Giorgio è ruvidezza, è lontananza, è sofferenza, è un punto d’arrivo a cui giungi per sentieri tortuosi, è l’eco di battaglie lontane sempre presenti.
Giorgio, soprattutto, incarna qualcosa che puoi considerare inutile, scomodo o ingombrante ma che dà un senso al tutto: l’inizio della storia. Senza quello, che fine può mai esserci?n