Quando qualcosa finisce, non lo fa mai senza dolore. Quando qualcosa finisce, anche se forse era destino che finisse, non si può pretendere che niente cambi. Eppure qualcosa che resta, e che niente e nessuno può cancellare, c’è. Si chiamano ricordi. Si chiamano immagini. Si chiamano persone. Quando un pezzo di storia del Varese come Giorgio Scapini cambia casacca ed approda in casa Pro Patria, nessuno può pensare o pretendere che si possa cancellare tutto quello che è stato. E allora il nostro saluto a un personaggio come lui è semplicemente quello di lasciargli la parola. Chiedendogli soltanto questo: quello che si porterà con sè. Quello che nessuno potrà mai cancellare.
Apriamo insieme a lui l’album dei ricordi, per sfogliarlo insieme a tutti coloro che hanno percorso questa strada, a volte tortuosa ma sempre bellissima, insieme a lui. «Si parte dall’inizio, ovviamente – sorride Scapini – e cioè da quel gol di Sehic su punizione che suggellò a tempo quasi scaduto il 2-2 contro il Gavirate: poi venne il ripescaggio ma, di fatto, quella rete valse il salto dall’Eccellenza alla serie D». E subito spunta anche l’aneddoto inedito, legato alla maglia che Sanel indossava quel giorno «destinata a mia moglie Mirella. Quando però il nostro medico Ilaria Morandi la vide se ne impossessò e io non riuscii ad oppormi». Dall’Eccellenza alla serie D. Ancora una gara decisiva, ancora Sanel Sehic. «Il fantastico 3-3 di Castelletto alla presenza di tantissimi nostri tifosi sotto una pioggia incessante. Ricordo che a fine partita mi ritrovai in mezzo al campo con Sean Sogliano, commossi tutti e due. Eravamo di nuovo nei professionisti, ce l’avevamo fatta. Insieme». Si ricomincia dalla C2 e la mente di Scapini vola dritta alla prima trasferta in pullman del Gruppo Comodo, a San Bonifacio. «Soprattutto mi ricordo il finale col brivido all’autogrill di Dalmine, quando incontrammo i tifosi della Pro Sesto e non volarono esattamente sorrisi e petali di rosa…». E a proposito di trasferte “tranquille” in C2 riuspunta anche quel 3-0 ad Alessandria dopo il quale «scappammo a gambe levate perché i tifosi locali – che per l’occasione erano vestiti di argento con dei sacchi della pattumiera – ci inseguirono fino ai pullman. la scampammo bella». Il destino però ha già tessuto le sue trame e scritto le sue pagine: si arriva a quella partita indimenticabile a Bolzano contro l’Alto Adige e a quel gol di Bernardini a 20 secondi dal fischio finale, che ci spianò la strada verso il ritorno in C1: «Indossavo una maglia bianca – racconta Scapini – A fine partita ero talmente distrutto fisicamente ed emotivamente che un tifoso mi disse: “Sembri un panettiere che si è appena alzato all’alba per andare al forno”. L’avrò rivisto 200 volte quel gol. E ogni volta sembrava diverso. E ogni volta non ci credevo». E poi siamo al 13 giugno 2010. Sulla scena compare anche il nostro direttore Andrea Confalonieri. «Abbiamo visto la partita fianco a fianco sotto la tribuna centrale – racconta il ds – Non si vede niente da lì, ma si “sente” tutto. Il Confa a un certo punto mi chiede “quanto manca?”. Gli rispondo “poco più di dieci minuti”, e lui mi dice: “Troppo pochi”. Gli replico: “Basta un secondo per fare gol”. Buzzegoli mi diede ragione: 2-0 negli ultimi 15 minuti e serie B. Quel giorno penso che chiunque fosse al Franco Ossola lo racconterà ai propri nipoti. Mi ritrovai nei pressi della panchina poco dopo il fischio finale, con Sean sudato, bagnato e persino insanguinato. Mi guardò e la prima cosa che mi disse fu: “Sono c..i tuoi, adesso devi fare la Primavera”». Già, la Primavera. Un altro grande miracolo di Scapini in biancorosso: «Come posso non citare la semifinale scudetto del contro la Fiorentina? Finimmo il tempo regolamentare in 8, vincemmo ai rigori. Ci lasciai buona parte delle mie coronarie, e il resto me lo rovinai in finale, quando la Roma (e l’arbitro Di Battista…) ci tolsero la gioia di coronare il nostro sogno. Con la mamma di Pompilio dietro di me che continuava a chiedere “Ma possiamo fare invasione di campo?».
E poi si arriva al presente. «Alla partita di Besozzo col Verbano, la prima di quest’ultimo campionato, la prova del nove. La gente ci seguì da subito. Vittoria 6-0 ed entusiasmo dilagante. I tifosi capirono che il Varese era davvero tornato, era vero ed era una cosa seria». Giorgio la vorrebbe chiudere qui. Noi non possiamo. Ci sono due domande che vogliamo ancora fargli. Ed è giusto che tutti conoscano le risposte. La prima: quando doveva convincere un ragazzo, cosa gli diceva del Varese? «Il Varese è il posto migliore dove un giovane possa capitare. L’ho sempre detto e lo continuerò a pensare – dice Scapini – Perché è nel Dna biancorosso accogliere i giovani, incitarli e farli crescere. Perché la gente ama e rispetta i colori biancorossi, ovunque. Perché quella maglia porta dentro tutto questo». Ed è così che riusciamo a strappargli un nome, su tutti, tra tutti quelli lanciati da lui in questi anni. «Anche se mi porto tutti nel cuore, Eros Pisano avrà sempre un posto speciale dentro di me – confida – Perché è stato il primo che ho scoperto, perché è rimasto a Varese anche dopo il fallimento, perché incarna lo spirito del Varese in tutto e per tutto».Ironia della sorte. Proprio quell’Eros Pisano che esordì nel Busto 81, nella nuova città di Scapini. Ma forse il segnale vero che ogni cosa doveva compiersi è stato in quel gesto spontaneo (anche se non in parte sofferto) di Mirella, compagna imprenscindibile e sempre presente di Giorgio, che ha regalato la sua maglia autografata da Pisano e da tutto il Varese di cui Eros fu capitano all’asta Fuck the Cancer. Un gesto che racchiude la grandezza degli Scapini, ai quali ora rimane un ultimo scopo: convincere la loro cagnolina Ribes a portare la stessa fortuna ai loro nuovi colori. «Se succede qualcosa è perché c’è qualcosa d’altro che è giusto che debba succedere». Ci saluta così Scapini, con una frase che gli diceva sempre la sua mamma. E che, oggi, è la risposta definitiva. A posto così. E grazie, di tutto.