Un cerchio che si chiude, una nuova opportunità, una storia ancora tutta da scrivere. Ognuno, nel ritorno di Caja sulla panchina di Varese, ci veda un po’ quello che vuole: lui per primo.
Noi, abbiamo le nostre idee. Pensiamo – e mica l’abbiamo mai nascosto – che Caja dovesse essere riconfermato sulla panchina di Varese dopo che aveva preso una squadra disastrata e l’aveva portata a sfiorare i playoff. Pensiamo che la società dovesse puntare su di lui costruendogli attorno una squadra di giovani italiani, per provare a mettere su un gruppo capace di dare qualche emozione. Pensiamo che il fatto che ora Attilio sia di nuovo qui, sia uno di quei casi in cui alla fine la giustizia fa il suo corso. Caja si meritava di essere richiamato a Varese perché Caja non meritava di essere cacciato e, soprattutto, non meritava di essere cacciato in quel modo.
Certo, sarà durissima caro Attilio: dovrai inventarti qualcosa, dovrai far trottare una squadra che non è ancora riuscita (e chissà se ci riuscirà mai) a diventare un gruppo. Dovrai sistemare le cose, dare delle regole, definire responsabilità e far riacquistare il piacere di giocare a basket, il piacere di vincere. Rispetto a due
anni fa, è tutto aperto: allora la salvezza era stato un lusso, stavolta ci sono dei playoff da sognare che resterebbero lì come una ciliegina sulla torta di una carriera. Non sarà facile, ma siccome noi siamo La Provincia e nel mezzo senza scegliere proprio non riusciamo a starci, diciamo che ce la farai.
E poi, Paolo Moretti. Non è mai scoppiata la scintilla, inutile girarci attorno, in un eterno “vorrei ma non posso” che lui stesso ha descritto alla perfezione nella bellissima lettera che ha scritto per salutare Varese. Non sappiamo perché la scintilla non sia scoppiata, possiamo solo immaginarcelo. Possiamo limitarci a dire che probabilmente Moretti non ha compreso come a Varese un allenatore non si possa limitare a fare l’allenatore, ma debba farsi penetrare da questa città e dalle sue stranezze. Debba lasciarsi prendere e accettare quel modo viscerale e vero di vivere il basket che hanno un po’ tutti, dai tifosi ai giornalisti. Chi non è stato capace di farlo (Frates, per esempio) ha fallito, chi c’è riuscito (Magnano, Pillastrini, Vitucci) ha vinto e verrà ricordato con il sorriso.
Ora, basta scuse. Ora, che sia la volta buona. Troppi allenatori cambiati in troppo poco tempo, troppi anni zero, troppi progetti da rifondare e rifondare un’altra volta ancora. Ora, vinciamo un po’ di partite magari a partire da quella con Venezia: basta poco a riaccendere entusiasmi spenti.
Crediamo in questa squadra, crediamo sia più forte di quella allenata da Caja due anni fa. E crediamo in questa società. Ci siamo schierati, sì: l’abbiamo sempre fatto, e spesso (non sempre) abbiamo avuto ragione.