Le feste comandate non mi sono mai andate a genio, son fatta così. I cioccolatini a San Valentino, gli auguri asettici su Facebook il giorno del compleanno, le mimose l’8 Marzo. Non è che non facciano piacere, per carità, ma le cose veramente gratificanti nella vita sono ben altre. Almeno per me. Cosa vorrei ricevere oggi? Una sana ventata di non retorica. Un abbraccio. Tanti abbracci. Ma gratuiti e sinceri, mica come contentino perché oggi è “quel giorno lì”. Regalateci rispetto, regalateci una gentilezza, regalateci un sorriso. Ma che siano veri. Non imbarcatevi
in grossi discorsi o esose spese. Fateci piuttosto sentire belle, vive e invincibili come siamo o come meriteremmo di essere. Fateci fare una grassa risata, di quelle che fanno scendere i lacrimoni. Le uniche lacrime che dovrebbero essere permesse al mondo. E soprattutto fate sì che l’8 Marzo lo sia tutti i giorni. Ecco, lo vedete? La retorica mi ha inesorabilmente colpita … ve lo dicevo che non sono fatta per le feste comandate. Buona giornata a tutte e a tutti, ognuno altra metà del cielo di qualcun altro. O qualcun’altra.
Pochi giorni fa il Tribunale di Varese ha assolto un uomo dall’accusa di stupro. L’amante aveva dichiarato di essere stata violentata pur di non confessare al marito una relazione extraconiugale di 9 mesi che l’avrebbe privata del benessere economico. A sgombrare il dubbio sul non avvenuto stupro sono stati una serie di teneri sms che la presunta vittima ha inviato al presunto bruto poche ore dopo il presunto abuso. Qualcosa che susciterebbe nausea in chi ha davvero subito una violenza simile. Nessun giudizio, ma un paio di considerazioni sì. La donna in questione ha in questa vicenda dato vita (e quindi credibilità per qualcuno) in tutta una serie di stereotipi relativi al gentil sesso compreso quello della femmina di bell’aspetto che ha bisogno del pantalone per spendere e spandere. Secondo punto: la donna in questione era probabilmente convinta che sarebbe stata creduta proprio perchè donna. Quindi, a suo vedere, vittima per definizione. L’accaduto è un danno enorme perchè, in un Paese (il nostro) dove molto c’è ancora da fare
sul piano culturale per garantire rispetto e diritti alle donne, toglie credibilità alle vittime vere. E a chi, l’8 marzo e tutti gli altri giorni, combatte affinchè questa rivoluzione si compia.
Quando mi è stato chiesto di scrivere alcune righe sull’8 marzo, ho pensato che la cosa migliore da fare fosse concentrarsi su un tema specifico. La violenza sulle donne? No, servirebbero pagine e pagine per riflettere su un fenomeno che ha ben più di cinquanta sfumature di sporco. Mi è quindi tornata in mente Paola Clemente, madre e bracciante, morta di fatica per 2 euro l’ora, ma la rabbia è ancora tanta che mi manca la lucidità per scriverne. Meglio allora pensare a qualcosa di più futile, come alle tette di Emma Watson
o allo spacco di Diletta Leotta, che pare non possano parlare di femminismo perché hanno dei corpi così belli da fare invidia. O scandalizzarsi per la fotografia scattata nella metro di New York: una drag queen seduta accanto a un burqa. Massima espressione della libertà o della follia dei giorni nostri? Vai a saperlo. Sarebbe bello parlarne l’8 marzo, se solo in Italia non fosse ancora così difficile abortire, se la parità salariale non fosse un miraggio, se camminare per strada non facesse così paura, se gli assorbenti non costassero così tanto…
Vedo tutto il senso della festa della donna in mia figlia: oggi lei ha solo cinque anni e un intero futuro da costruire, passo dopo passo, in un mondo dove non è più possibile poter contare sulla parola certezza. L’unica certezza che potrà avere sarà in se stessa e in quello che saprà costruire. È a lei che devo insegnare cosa vuol dire diventare una grande donna: le insegnerò ad avere tanta forza, a trovare sempre il coraggio, ad affrontare tutto con orgoglio. Ma dalla sua parte avrà sempre un’arma in più: quella sensibilità tutta femminile che le darà una marcia in più nel comprendere gli altri, nel trovare la sua strada, nel compiere le scelte giuste. Le insegnerò a non aver paura né degli altri né del futuro, perché saprà affrontare ogni sfida a testa alta: le basterà essere semplicemente Donna.
In una giornata come questa il rischio di cadere nella banalità è più che mai alto.
È un errore che non vorrei commettere.
Mi limiterò a dire grazie a tutte quelle donne che hanno segnato il mio percorso fino ad oggi.
Grazie alla loro dolcezza, al loro supporto morale in un momento triste e difficile, alle loro risate spensierate, alle loro lacrime di sincera commozione, alla felicità condivisa, alle parole dure ma che tanto mi hanno insegnato, grazie agli sguardi di complicità con un’amica vera. Le donne sanno supportarti e consolarti facendoti sentire la benvenuta, sempre. Sanno trasmetterti sentimenti unici e sinceri come la gioia e l’amore, quindi a tutte loro va il mio pensiero.
Grazie a chi c’è costantemente e pazientemente ogni giorno, a quelle donne che oggi non ci sono più e che mi mancano tanto, grazie alle amiche del cuore e a quelle che ancora non conosco ma già sto aspettando.
Ogni anno l’8 marzo mio papà mi regala un mazzo di mimose accompagnato da un biglietto sui cui scrive con la sua stilografica la stessa frase “alla mia piccola, ma grande donna”. Lui è un uomo preciso che mi ha insegnato molte cose con la spiegazione anche se sei donna devi saper… montare un armadio, compilare una constatazione amichevole o cambiare una ruota. Mi sono sempre chiesta ma lui sa quante cose noi donne sappiamo fare soprattutto perchè siamo donne?
Non sembra ma riuscire a coniugare lavoro, famiglia ed amicizie (indossando un paio di tacchi) è decisamente più impegnativo che saper cambiare il sifone della doccia. In un mondo che spesso parla al maschile, noi donne riusciamo a dimostrare di avere una marcia in più nonostante gli ostacoli o la fatica quotidiana per riuscire a dimostrare la nostra bravura. Ed anche quando siamo vittime di aggressioni o ingiustizie, non ci arrendiamo, rialziamo la testa, ci rimbocchiamo le maniche e
continuiamo a combattere perchè…noi siamo donne!
Non sento particolarmente la festa della donna, forse perché preferisco meditare sulla condizione femminile lontano dai “pacchetti” precostituiti, nell’intimità delle mie giornate di madre, moglie, figlia, sorella, amica e lavoratrice. Conosco la storia sottesa da quando, giovane operaia turnista per mantenermi gli studi, me la raccontavano le colleghe anziane: ho sempre però trovato piuttosto insipiente, a tratti fastidioso l’affastellarsi di iniziative che ambiscono a celebrare la quintessenza dell’eterno femminino l’otto di marzo, che siano di natura sociale oppure inneggianti allo svago. Esisteva peraltro, nei tempi passati, la tradizione tutta bosina d’ra puscena di donn, che consacrava la serata della Giöbia ai soli “cenacoli” muliebri nelle cascine: le nostre regiure semel in anno si ritrovavano fra di loro per brindare a quel cemento declinato al femminile che sarebbe stato il motore dell’anno a venire. Una rete in “rosa” di affetti e mutuo soccorso che continuerò ad omaggiare idealmente l’ultimo giovedì di gennaio, con le donne della mia vita.
È l’8 marzo e ciascuno dedica un pensiero alle donne della sua vita: la mamma, l’amica, la sorella, la figlia, la moglie, la fidanzata, l’amante, la collega, la nonna, la capa, la dipendente. Un rametto di mimosa però non basta. Se l’omaggio dev’essere floreale che sia una pianta.
Sarebbe fantastico se l’8 marzo potesse essere la festa della femminilità e delle sue doti migliori: bellezza, armonia, determinazione, fascino. Caratteristiche troppo spesso stigmatizzate, derise, calpestate. Allora l’8 marzo deve rivendicare i diritti delle donne a non subire discriminazioni sul lavoro, in busta paga, nella vita privata. Il diritto a non subire violenza, né fisica né verbale, a decidere autonomamente del proprio corpo e della propria vita. Diritti riconosciuti eppure minati da una misoginia diffusa contro tutto ciò che alla femminilità afferisce.
E allora che sia una pianta da curare insieme tuttin i giorni il pensiero in dono alle donne oggi, simbolo dell’impegno ad opporsi sempre ad ogni discriminazione del femminile di cui siamo testimoni.
Ricetta per una donna perfetta. Prendere cinquanta grammi di famiglia, altri cinquanta di lavoro, dosare il tempo tra cura della casa e quella del proprio aspetto fisico. Su un braccio della bilancia posizionare il tempo in cui si ascoltano i figli e li si aiuta nei compiti, sull’altro le ore dedicate al volontariato e ad attività utili alla comunità. Trovare un punto di equilibrio, poi mettere tutto in una ciotola, aggiungere un pizzico di autostima, due pugni di autocritica, un bicchiere di ottimismo e shakerare tutto con tanta energia. La ricetta è finita. Ma, sono pronta a scommetterci, il risultato non è quello sperato. E sapete perché? Perché le donne perfette non esistono. L’8 marzo si tende forse un po’ troppo a enfatizzare il ruolo multitasking della donna facendone una super donna, colei a cui si chiede di essere perfetta in tutto. Il mio augurio, in questa giornata di festa, è quello di saper essere donne e basta, senza miti, senza traguardi da rincorrere per forza, senza modelli a cui tendere.
8 marzo, una data che mi mette a disagio. Come ogni anno, in questo periodo, quelle poche amiche che ho, iniziano a mandarmi messaggi subliminali riguardo ipotetica serata da trascorrere insieme per festeggiare l’8 marzo e come ogni anno io mi eclisso dandomi per arruolata in legione straniera. Il perché? Semplice. Non vogliatemene, ma io odio profondamente la festa della donna, o meglio, non tollero – e lo urlo, così potete sentirmi tutte – le donne che utilizzano quest’occasione per uscire di casa e sfogare ogni istinto represso, come se quella sera, tutto fosse concesso. In molte celebreranno al posto mio il fatto di essere nate con una coppia di cromosomi sessuali uguali, ricordandomi quanto sia fantastico essere una femme fatale e lasciandomi chiedere come si sia potuto perdere così tanto di vista l’obiettivo di questa ricorrenza.
Io ho deciso di iniziare questa giornata canticchiando il ritornello della canzone “Salva Gente” dei Marta sui tubi: «Quando comincerai a vedere il mondo in un modo diverso, il mondo comincerà a cambiare».
Maschio o femmina? Femmina. E poi? Figlia, sorella. Quindi? donna, madre, forse. Il ricordo più bello? La nascita di un figlio. Donne nelle fiabe? Biancaneve e la Strega dell’est. Nella letteratura? Anna Karenina e Penelope. L’amore delle donne? L’amore più forte. Buone e cattive, pazienti e appassionate, le donne hanno una giornata tutta per sé, da quando la rivoluzionaria tedesca Clara Zetkin, nel 1910, ebbe l’idea. Una giornata dedicata alla lotta per i diritti, il diritto di voto, di protezione, di lavoro e il pieno riconoscimento del ruolo di cittadine. Una giornata per il “mistero senza fine bello”, una “giornata particolare” per chiedere la libertà, tutti i giorni e ovunque. La libertà di scegliere, di sbagliare, di cambiare la propria vita e il proprio destino. La libertà di scrivere e quella di vivere, come ci ha insegnato Malala. La libertà di avere il coraggio e di non averlo. Audaci e vigliacche, esattamente come gli uomini. Libere come “una donna”, Sibilla Aleramo: «Ero una persona, una piccola persona libera e forte; lo sentivo, e mi sentivo gonfiare il petto d’una gioia indistinta».
Con tutta franchezza la festa della donna mi ha sempre fatto pensare ai panda.
Se ci vuole una celebrazione specifica, mi dico, è perché bisogna portare l’attenzione su qualcosa di particolare tipo una specie in via d’estinzione o cose simili.
Se la festa della donna è l’8 marzo, tutti gli altri giorni che cosa sono?
E poi perché la donna ha una festa e l’uomo no? Ce l’hanno perfino i gatti una loro festa, il 17 febbraio.
Io credo che non abbiamo bisogno di celebrazioni né di un “linguaggio di genere” fatto di declinazioni al femminile o di barrette del tipo “signori/e”.
Abbiamo bisogno di fatti concreti: di stipendi pari a quelli degli uomini, di supporto alla maternità, di eguali opportunità di carriera, di accesso ai ruoli di vertice, di rispetto, e perché no, pure di mimosa (ancora meglio se fosse la torta mimosa).
Ho sempre odiato l’8 marzo e la Festa della Donna. Nella mia mente da sempre evoca orde di pseudo-femministe scatenate che si riversano nei locali, vocianti e agghindate da combattimento, per mangiare con gli occhi esemplari di maschi ipertrofici e traslucidi che mostrano i loro attributi (ahimè) migliori. Tanto tempo fa mi ci trascinarono in questa moderna Gomorra giallofiorita. No. Tutto questo non ha senso. Trovo sia una offesa alla dignità. Preferisco allora pensare a questa data come a una Giornata di Elogio della Donna, ricordando le grandi donne di tutti i tempi che hanno fatto la Storia e quelle che hanno fatto e continuano a far parte della mia vita. Mia madre Maria Luisa, nonna Enrica, le tante donne-amiche che mi accompagnano nel cammino. A loro e alle loro virtù voglio dedicare questa giornata: celebrando la loro determinazione e intraprendenza, la loro generosità e capacità di amare. Quelle qualità che spero di avere ereditato almeno un poco. A loro tutte sono riconoscente. Perché anche grazie al loro esempio oggi posso cercare di essere una Donna migliore.
Chiara è la mamma di una bambina di un anno. Lavora in una nota azienda e, fino a prima del parto, ricopriva un ruolo di rilievo. Dopo la maternità, quando è rientrata, ha scoperto di essere stata rimpiazzata da un’altra persona e ha trovato il suo ufficio e la sua scrivania occupati da altri.
Laura è cardiochirurgo, laureata con il massimo dei voti e con già alcuni anni di esperienza ospedaliera alle spalle. La sua più grande difficoltà non sono i turni impegnativi né gli interventi delicati di cui si deve occupare, ma la diffidenza e gli atteggiamenti ostili nei suoi confronti da parte dei colleghi uomini.
Diana è una donna ucraina di mezza età: per guadagnare i soldi necessari a mantenere se stessa e la sua famiglia ha dovuto lasciare i suoi cari e lavora tutti i giorni come badante, con solo mezza giornata di riposo a settimana.
Per tutte le Chiara, le Laura, le Diana e le altre donne del mondo, che con coraggio, impegno e caparbietà vanno avanti nonostante tutto, l’augurio è che questa ricorrenza possa smuovere qualcosa nelle coscienze di chi potrebbe rendere più giusta la loro esistenza tutto l’anno, non solo oggi.
Quando la ricorrenza dell’8 marzo coincide con una perdita di una persona cara mi frullano i pensieri e inizio a riflettere.
Oggi più che ricordare e celebrare la festa della donna in generale, voglio ricordare una donna e grande mamma che, per chi l’ha conosciuta negli anni e chi come me solo negli ultimi quattro, è stata esempio di tenacia e di forza. Una donna che di fronte alla malattia non si è mai arresa. Ed ha sempre combattuto come una leonessa; una donna che ha permesso ai suoi cinque figli di prendersi cura di lei come se lei fosse la figlia.
Una donna che sapeva farsi capire nonostante la malattia le avesse colpito la parola.
Una mamma che piangeva di gioia quando il figlio più piccolo la accompagnava a letto cantando a squarciagola le canzoni di Venditti e di Cocciante.
Una donna che amava guardare i film. Soprattutto quelli d’azione in cui si combatteva dall’inizio fino alla fine, proprio come lei: una combattente, una guerriera, una donna così forte che ha combattuto fino all’ultimo per rimanere qui, tra le persone che l’hanno sempre amata e accudita con un amore che non tutti probabilmente possono immaginare.
Ma purtroppo di fronte a certe mali, si può solo aspettare che il tempo passi lento e inesorabile; si può solo guardare impotenti la morte che piano piano si prende la vita delle persone che amiamo di più, quando invece vorremmo restassero sempre con noi.
Voglio ricordarti così, con il sorriso che avevi mentre mangiavi il tuo pasticcino preferito: ciao Enrica, proteggi tutti da lassù, oggi più che mai.