«Nella vita, quando si riceve qualcosa, si deve dare indietro. E io, dal Nepal, ho ricevuto tanto»
Un uomo che fin da piccolo – allattato dalle cime della Valfurva – ha sempre sognato in verticale come Marco Confortola, da quello staterello incastonato tra i giganti Cina e India ha ricevuto sogni alti 8000 metri e più, sui quali sfogare la sua sete di conquista e confezionare imprese che hanno dato senso al suo infinito amore per la montagna.
Il Nepal, però, è stato anche sinonimo di incubo, per lui e per la gente che abita questo paradiso fatto di picchi e altipiani, svegliatasi un giorno nell’incubo di un terremoto devastante.
Era il 25 aprile del 2015, il valtellinese che sul K2 nel 2008 ha seguito le orme del conterraneo Achille Compagnoni si trovava al campo base del Dhaulagiri, la settima montagna più alta della terra con i suoi 8167 metri, intenzionato a cimentarsi nei giorni a seguire con quell’enorme prova fatta di ghiaccio, neve e rocce. Il momento della prima scossa lo rammenta molto bene: «Ero al telefono con il mio staff e ho sentito spostarsi la sedia da sotto il sedere. Pensavo fosse una valanga, invece è arrivata subito un’altra scossa: tutti i bidoni con dentro il materiale alpinistico si sono rovesciati, e mi ricordo che il cuoco della nostra spedizione è uscito dalla tenda cucina molto spaventato. Era caduto tutto».
All’Everest il terremoto provoca il distacco di una valanga che scivola fino ai piedi della montagna e uccide 17 persone. Al Dhaulagiri è il caso a salvare gli alpinisti: «C’era talmente tanta neve al momento del nostro arrivo che abbiamo dovuto piazzare il campo base più a valle rispetto al normale: fosse stato dove viene allestito di solito, le valanghe che il sisma ha generato ci avrebbero uccisi tutti».
La tragedia, nell’uomo che si fa guidare dall’anima, cambia le priorità. Confortola abbandona la montagna e fa repentino ritorno a Katmandu, la capitale, mettendosi a disposizione per dare una mano. È l’inizio di qualcosa, di un’esigenza che si fa largo prepotente: restituire.
Il sisma consegna alla storia quasi 9000 morti accertati e mette in ginocchio un Paese intero, gli uomini che lo abitano, le sue donne. I suoi bambini. «Ho pensato che potesse essere utile l’idea di costruire una scuola – racconta Marco – Ho chiesto aiuto a Bosch, con cui collaboro da anni, e loro mi hanno subito aperto la porta. Insieme a Carlo Mamberto, uno degli ideatori del progetto Finale for Nepal, e all’Associazione 17, la cosa è partita, abbiamo raccolto 50 mila euro e li abbiamo donati per la causa».
A beneficiarne un villaggio (Sunkoshi) del distretto di Sindupalchowck: Marco a maggio del 2016 torna in Nepal e, prima di affrontare il Makalu, si ferma a dare un contributo all’edificazione della struttura, costruita tutto a mano: «Ho cercato di fornire anche qualche indicazione tecnica, visto che, oltre a fare l’alpinista e a lavorare nel soccorso alpino, ho avuto esperienze anche nel campo dell’edilizia». Scala il Makalu e torna ancora: ormai è la questione di un cuore che ha sposato un obiettivo. L’ultimo viaggio a febbraio di quest’anno, il 26, quando l’opera è finalmente compiuta e viene inaugurata: «È stata una soddisfazione mia e nazionale – afferma il valtellinese, pieno di orgoglio – Gli italiani hanno dimostrato ancora una volta di saperci essere nel momento del bisogno. Dentro mi resta la gratitudine immensa del popolo nepalese, dei suoi bambini. Quando arrivi davanti a loro ti chiedono una penna, non ti chiedono altro: hanno voglia di imparare, di studiare e aver regalato loro una scuola è davvero qualcosa di bello».
Non è certo la prima volta che Confortola si spende per i giovani: da anni – insieme alla stessa Bosch e a Randstad – partecipa all’iniziativa “Allenarsi per il futuro”, che orienta i ragazzi delle scuole nella scelte professionali, offrendo loro opportunità di alternanza scuola lavoro.
Il resto è un’esistenza vissuta per cercare ogni volta un nuovo cielo da toccare e tanti sogni verticali da esaudire. In Nepal soprattutto, dove quest’estate metterà ancora piede e dove si nasconde, tra i banchi occupati da bambini che ora hanno un domani, un pezzo di Valfurva.