Le urla dei bimbi fuori da quell’asilo. Per dire scendo qui

Il nostro Francesco Caielli commenta la scelta di Ivan Basso di ritirarsi: «La sua decisione di smettere l’avevo capita già da un po’ leggendogliela in quegli occhi incapaci di dire bugie»

«Vedi, Caio? Durante una tappa del Giro dell’anno scorso siamo passati di fianco a un asilo: ho sentito le grida dei bambini che giocavano e ho immediatamente pensato ai miei a casa. In quel momento ho capito che era arrivato il momento di smettere».Dopo anni passati fianco a fianco, uno a pedalare e l’altro a raccontare, posso dire di conoscere bene Ivan Basso. E la sua decisione di smettere l’avevo capita già da un po’ leggendogliela in quegli occhi incapaci di dire bugie. Ne abbiamo parlato tanto e tante volte e il sottoscritto, combattuto tra l’essere amico e l’essere cronista, egoisticamente non voleva accettare. Non voleva capire. Si rifiutava di pensare a un futuro senza Ivan nel gruppo,a mesi di maggio senza un Giro da seguire, a quell’orgoglio malcelato che ci portavamo dietro noi di Varese quando entravamo in sala stampa dopo una tappa e tutti i

colleghi più importanti ci guardavano con un filo d’invidia.E allora per un po’ avevo provato a convincerlo: dai, un’altra corsa. Dai, un altro applauso. Dopo le mille cadute, dopo la storiaccia del tumore, dopo le legnate e le vittorie: bisognava chiudere in bicicletta. Poi è stato Ivan a convincermi che no, aveva ragione lui: raccontandomi l’aneddoto dei bimbi all’asilo e aggiungendo che «un corridore quando corre per vincere non può permettersi di emozionarsi pensando a casa: quando succede, non è più un corridore».Ivan ora avrà tanto da fare: in un ruolo nuovo nel ciclismo e in un ruolo da riscoprire nella sua famiglia. Ma in queste ore viene fuori quella tristezza che a te non piacerà. Mancherai a tutti, Ivan. E mancherai anche a chi ti ha conosciuto ciclista e, col passare degli anni e delle pagine scritte, ti ha scoperto amico. Grazie di tutto: è stato splendido.