«Una biografia illustrata dei miei genitori». È la definizione usata dall’autrice Carla Tavernari per descrivere il libro dedicato al suo papà, lo scultore varesino di fama internazionale, Vittorio Tavernari, alla sua vita e alla sua arte sostenute dalla complicità della moglie Pietra, violinista.
Il volume, intitolato “Vittorio e Pietra Tavernari”, edito da Macchione, onorato di «dare voce ai varesini illustri», sarà presentato questo pomeriggio alle ore 18 nella sala Montanari (ex cinema Rivoli) di via dei Bersaglieri per un incontro impreziosito dall’intervento, tra gli altri, di Fliaminio Gualdoni, docente dell’Accademia di Brera di Milano e studioso di Tavernari.
Nato a Milano nel 1919, Tavernari masticò arte sin da bambino grazie al padre Giovanni, che pur di seguire la passione per il disegno vinse un concorso, una sorta di borsa di studio per frequentare l’accademia. E divenne restauratore e pittore, abilissimo nella copia delle opere fiamminghe. Così Vittorio sedicenne iniziò a frequentare la Scuola d’arte del Marmo del Castello Sforzesco diretta da Wildt. Ma la sua crescita artistica è tra le Prealpi: il gruppo degli “Astrattisti”
a Como e poi il matrimonio a Varese nel 44 con il pittore Mario Radice come testimone. Tavernari fu tra i fondatori della rivista “Numero” e del manifesto “Oltre Guernica”. Dalle prime mostre personali a Milano arriva a parigi, con un percorso singolare: dal periodo astratto alle al ciclo delle sculture filiformi. E poi i torsi, quelli femminili e poi i torsi di Cristo che lo portano alla Personale alla Biennale di Venezia nel ’64. Le sue sculture sono presenti in importanti musei in Italia (Milano, Bologna, Roma, Palermo, Matera, Città del Vaticano) e all’estero, da San Paolo a New York. A Varese la sua arte è ricordata soprattutto dal totem di via Albuzzi, in pieno centro pedonale.
«Figlia di artisti», era il titolo con cui era stato concepito il libro tre anni fa: «Poi ho deciso di aspettare per trasformare questo volume in un omaggio per i 30 anni dalla scomparsa del papà», racconta la figlia che propone nel volume la storia dell’artista vista dai sui occhi. «Per quel che ricordo e per come me lo ricordo, perché fino ai sei anni non avevo mica capito che il lavoro del mio papà era fare lo scultore». Così nel libro emerge il contesto cittadino e di affetti e rapporti della storia del Tavernari, dall’amicizia con il Marchese Ponti a quella con il conte Panza di Biumo: «Fu mio padre a introdurlo tra gli astrattisti di Como», ricorda Carla Tavernari. E va oltre, raccontando anche dell’intensa attività gestita dall’archivio Tavernari per promuovere l’arte gestito ora da Carla con il sostegno di tutta la famiglia e fino a 10 anni fa mandato avanti da Piera, la moglie dello scultore: «Violinista, era sei anni più grande di lui – racconta la figlia – Mia madre forse sacrificò un po’ la sua arte per sostenere mio padre e il suo percorso internazionale, ma si ritagliò uno spazio per la musica con un gruppo di stranieri impiegati all’Euratom e con cui aveva formato il quartetto degli Euratomici per degli home concert di musica classica».