Ultimamente lo sport insegue record discutibili attraverso piccoli atleti costruiti in palestra, o peggio ancora in laboratorio. Fanno discutere due vicende non giustificabili. Sono i casi della malese di otto anni e della cinese di undici, iscritte a livello agonistico ai mondiali nelle rispettive discipline, lo sci nautico e il nuoto. È ora di smetterla con questi atleti bambini, privati della
loro infanzia. Una situazione che può creare gravi disturbi psicofisici. Andare oltre i limiti è un desiderio dell’ uomo, ma i bambini devono fare i bambini, confrontandosi con quanti si trovano nelle stesse condizioni. Mettere un limite d’ età nei tornei professionistici può essere un rimedio, evitando a questi miniatleti di trovarsi nella condizione di essere sfruttati, a volte per motivi pubblicitari.
Angelo Perego
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Non ci sono solo queste deleterie estremizzazioni. Ce ne sono altre. Per esempio l’obiettivo (direi quasi la pulsione) di trasformare il bambino in un campione in nuce non tanto per amore di record quanto per brama di successo. Se ne esaspera l’impegno nell’attività sportiva scelta per lui (ormai sempre più raramente è lui che la sceglie: sono i genitori) cosicché possa raggiungere risultati remunerativi: ricchezza e celebrità, possibilmente in fretta e facilmente. Ad essi si sacrifica perfino i fondamentali del vivere comune e civile. È accaduto nei giorni scorsi dalle nostre parti che una partita di ragazzini sia stata accompagnata da una rissa fuori del campo, tra i congiunti dei miniatleti.
È accaduto dopo ch’era già successo molte altre volte. E altre volte succederà. Il fraintendimento del valore dello sport è una devianza in progressiva diffusione, incoraggiata da modelli generali di comportamento di cui non vale qui ricordare la negatività, tanto sono noti e purtroppo affermati. Come dichiara in un’intercettazione telefonica emersa di recente la mamma che dopava una ciclista adolescente: «Non posso arrivare seconda». Lei, la mamma. La figlia è solo un mezzo per raggiungere il fine.
Max Lodi
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