Reggio Emilia è stata la sintesi di un intero 2015 di delusioni, risultati scadenti, atarassia delle emozioni e disaffezione. L’orribile anno biancorosso non poteva chiudersi in modo più significativo, ovvero con una partita capace di mostrare tutti i limiti di grandezza di una squadra e di una società che non danno ai propri tifosi neppure più la speranza di tornare a sognare.Non c’era obbligo di risultato contro il top team di Menetti, perché nessuno qui a Varese spegne il cervello quando si tratta di
analizzare il proprio amore sportivo. Il supporter medio, tuttavia, sembra ormai il Vladimiro o l’Estragone di Samuel Beckett, in perenne attesa su una desolata strada di campagna dell’arrivo di un signor Godot. E il Godot del basket nostrano sono i progressi, la continuità nelle competitività (hai battuto Cremona e potresti provare a stare in partita contro Reggio…) e l’affidabilità dei singoli. Aspetta e spera: la quattordicesima giornata di serie A ha segnato invece la distanza da qualsivoglia forma di upgrade nelle questioni di cui sopra.
Varese ha sprecato invano un intero girone di campionato: si chiuderà domenica prossima contro Cantù e i miglioramenti dal tragico inizio al cospetto di Caserta vanno cercati con il lanternino.
Sorprendersi ora sarebbe da stupidi, perché il peccato originale di questa stagione è stato palese fin dalle prime battute: un mercato giocatori da mettersi le mani nei capelli. Non serve calcare tanto la mano: il quasi totale fallimento della campagna di assemblaggio 2015/2016 è già storia nelle rescissioni con Shepherd e Thompson, nella cacciata di Galloway, nella non conferma di Ukic, nell’interlocutoria scelta di un Kangur dal quale non si sa cosa aspettarsi.
È storia nelle classifiche, quella più importante che vede la Openjobmetis a due punti dall’ultimo posto, e in quelle di specialità, che non fanno altro che rispecchiare tale mediocre, per non scrivere preoccupante, posizione. L’obiettivo erano i playoff? Bene: non c’è una sola graduatoria (salvo quella dei rimbalzi totali e quella dei tiri liberi segnati) in cui Varese sia fra le prime otto squadre del lotto. L’attacco della formazione di Moretti è un pianto greco: quattordicesima nei punti segnati (ma inesorabilmente ultima se si considerano solo le partite fuori casa), quattordicesima nel tiro da due punti e decima da tre.
La situazione chiama in causa anche il coach, l’unico che dovrebbe essere salvato in mezzo al marasma di scelte errate della gestione di . Per due motivi che vanno subito spiegati per evitare fraintendimenti. L’ex allenatore di Pistoia va sul banco degli imputati del mercato insieme a e allo stesso Coppa, perché la vulgata ufficiale ha riferito fin dall’estate che ogni decisione sui giocatori è stata partorita dal
trio in seduta plenaria. E poi bisogna chiarirsi su questo: Moretti è un eccellente allenatore di sistema e da palestra, tanto da accreditargli senza alcun dubbio il merito delle poche vittorie conseguite e delle rinascite dopo tonfi pesantissimi (vedi Cremona dopo Caserta). Ma è ancora convinto che possa esserci un sistema in grado di far funzionare singoli così rivedibili, se non proprio sbagliati, e poveri dal punto di vista tecnico?
La domanda non è peregrina, perché siamo davanti a uno snodo fondamentale del mercato: che natura deve avere l’ultimo acquisto possibile? Credere ancora nel sistema e cercare un altro giocatore “alla Kangur” lascia qualche perplessità, pur nella fede incrollabile in miracoli “morettiani” da qui alla fine della stagione.
Cercare, invece, qualcuno che possa far saltare il banco delle difese quando il gioco corale viene bloccato e si percepisce il bisogno che la fantasia salga al potere parrebbe l’unica strada sensata da prendere. Ieri è stato tagliato dall’Estudiantes Tony Mitchell, colui che è stato il capocannoniere dell’ultima serie A. Uno che il sistema non sa nemmeno cosa sia, ma che il canestro lo conosce bene. E se invece si cercasse un playmaker, ci sarebbe anche Aaron Craft, liberatosi in serata dal Slzonoki Olaj e già vagliato da Varese in estate. Sogni?